Design nei musei:
solo una differenza di nome?

valentinePrendiamo un prodotto industriale; un “oggetto” tecnico che abbia un «surplus di progettualità» (Manolo De Giorgi, in 45-63. Un museo del disegno industriale in Italia, Abitare Segesta, Milano 1995, p. 14). Prendiamo un pezzo di design: la macchina per scrivere portatile Valentine, disegnata da Ettore Sottsass per Olivetti (1969; si veda anche l’Archivio Olivetti online, dove, dall’intervista a Sottsass vengono anche i nomi di Perry King e Albert Leclerc). E vediamo cosa succede a metterla in un museo. Prendiamo due casi, magari non eccellenti ma esemplificativi: il Kestner Museum di Hannover – museo di arti applicate – e il Musée des arts et métiers di Parigi. Quali le differenze in termini di esposizione e racconto?Non troppe, in fondo; quasi più una differenza di nome che di fatto: la didascalia del Musée non cita nemmeno Sottsass, quasi il designer non avesse un ruolo; ma anche a non voler fare la storia (della tecnica, degli oggetti) per autori, per un simile artefatto non pare si possa ignorare il progettista! Forse, o certamente, non è neppure lecito ignorare l’involucro della macchina portatile, in quanto elemento integrante, non puramente accessorio; quella custodia che infatti a Hannover troviamo esposta, anche se collocata in verticale, tale che assomiglia, da lontano, a un cestino per ufficio (per una immagine che restituisca l’integrità del progetto si può allora fare riferimento a quella presentata nella mostra virtuale Ideo Selects, di cui abbiamo già scritto). Per continuare nel confronto, che dire del contesto, delle “risonanze”? Mentre nel museo parigino – così come spesso avviene in musei della scienza e della tecnica (e per esempio si pensi alle macchine e dispositivi per scrittura meccanici nel Museo della scienza e della tecnologia Leonardo da Vinci di Milano) – la contestualizzazione è per lo più fornita dalla ripartizione in sezioni del museo – sappiamo di essere nella sala dedicata alla “comunicazione”, o alla scrittura ecc…. – e dalla successione (generalmente cronologica) di diversi modelli, portatori di diverse tecnologie, esemplari di un certo progresso, in un museo di arti applicate e design, come quello di Hannover, dov’è difficile – se non impossibile (?) – attingere all’idea di progresso, che cosa sorregge lo sguardo e la comprensione del visitatore? Da quanto si vede sovente, rimane solo la forma, l’oggetto quale modello di con-figurazione estetica, esemplare di uno stile individuale o collettivo. Ora, non è che si intenda negare la valenza formale ed estetica di tanti prodotti di industrial design, ma poiché il disegno industriale è «”fenomeno sociale totale” [espressione di Marcel Mauss] [… cioè] appartiene a quella categoria di fenomeni che non si possono esaminare isolatamente, ma sempre in relazione ad altri fenomeni con cui costituiscono un unico tessuto» (Tomás Maldonado, Disegno industriale: un riesame, Feltrinelli, Milano 1991, p. 15), e poiché in questo fenomeno sono coinvolti – con differenti gradi di proporzione – fattori e considerazioni tecnici e non solo formali… allora ci chiediamo ancora una volta: è possibile mostrare qualcosa di più? O meglio, è possibile mostrare il pezzo di design – in specie “tecnico” – altrimenti che semplicemente disponendolo su un piedestallo, in una vetrina, apponendovi una didascalia? È possibile costruirvi attorno, o a partire da esso, un discorso maggiormente articolato – se pure non universale? Ed è possibile farlo per le collezioni permanenti oltre che in occasione di eventi temporanei?Nella Postfazione a Il museo della cultura politecnica. Luoghi del sapere, spazi dell’esporre, a cura di Fredi Drugman, Luca Basso Peressut, Mariella Brenna, Unicopli, Milano 2002, Luca Basso Peressut ricordava e citava l’impegno pluriennale di Fredi Drugman, che era orientato «alle “culture diverse”, meno ufficializzate, più aperte al dialogo con i territori e la gente, quali per esempio “la cultura industriale; le culture regionali; al cultura contadina; le culture delle minoranze etniche del nostro paese; la cultura tecnico scientifica” […]». Ora se è vero che questi temi sono divenuti a mano a mano «comuni, se non di moda», accade ancora di domandarsi se alcune di quelle culture non debbano essere ritenute ancora in certa misura “diverse”, sotto il velo delle mode. Se, cioè, la differenza non debba essere tanto quantitativa – se ne parla di più – ma qualitativa – come se ne parla, come se ne offre racconto e spiegazione.Uno spunto su cui riflettere ci viene sempre da Basso Peressut, dal suo Musei per la Scienza. Spazi e luoghi dell’esporre scientifico e tecnico / Science Museums. Spaces of scientific and technical exhibition, Edizioni Lybra Immagine, Milano 1998 (a cui abbiamo già fatto altrove riferimento), laddove, trattando del periodo delle grandi esposizioni universali e delle arti industriali, nel cap. I L’architettura del museo tecnico-scientifico fra tradizione e innovazione, dopo avere citato Walter Benjamin – «Le esposizioni dell’industria come segreto schema di costruzione dei musei – l’arte: prodotti industriali proiettati nel passato», scrive: «Rimane l’urgenza della domanda, che viene posta in quegli anni agli architetti: che cosa deve distinguere un museo da una esposizione? Mentre il dibattito sui palazzi per l’esposizione merceologica affronta l’interrogativo se la costruzione debba essere “un’opera avente un ben marcato carattere provvisorio o un’opera definitiva” (presto superato con l’affermarsi della prima soluzione), non risulta invece esservi incertezza sul fatto che il museo industriale non può riproporsi come pura e semplice trasposizione della sperimentalità effimera di forme e contenuti del palais d’exposition industrielle.Si vuole, in questi casi, affermare una istituzionalità e una dignità architettonica che sia, evidentemente, diversa ma confrontabile a pari livello con quella dei più consolidati musei d’arte. Con ciò si arriva a definire statuti e immagine di quei monuments to manufacture che rappresentano un genere nuovo di museo, pur non ancora chiaramente individuato nelle differenti specificità degli oggetti scientifici, tecnici e delle industrie che vi sono raccolti ed esposti (per tutto l’Ottocento infatti conviveranno negli stessi musei sia i prodotti delle “arti industriali” sia le raccolte scientifiche e tecniche: in entrambi i tipi d raccolte, di arte industriale e tecnica, troviamo infatti “machines and models of the useful arts”)».Senza dimenticare, anzi, che Basso Peressut si sta riferendo alle architetture dei musei e delle esposizioni, ci pare che questo brano sia stimolante sotto vari profili. Sia perché tratta della distinzione fra esposizione merceologica ed esposizione museale, la prima improntata alla temporaneità e alla sperimentazione, la seconda alla permanenza istituzionalizzata e fissata anche in termini spaziali e architettonici (ma non si pensi solo all’involucro, si immaginino i percorsi interni, gli ambienti, i muri, gli allestimenti…) – un tema non alieno all’attualità e al design in particolare, laddove spesso accade di chiedersi in che cosa un museo si distingua dallo stand di un salone d’arredo. Sia perché, una volta distinto fra merce e oggetto d’arte – si intenda “della tecnica” –, per quest’ultimo non si diede inizialmente separazione fra industriale e tecnico-scientifico: arti industriali e raccolte tecniche e scientifiche convivevano. E perché non dovrebbe essere così? Non sono forse due facce della stessa medaglia? Non è per questo che Valentine può stare in un museo d’arte applicata (invero può stare anche in un museo d’arte contemporanea: e si veda infatti il MoMA) come pure in un museo di arti e mestieri o in un museo della scienza e della tecnica?Ma a maggior ragione la differenza non potrà essere solo nominale – l’indicazione o meno del nome del designer –, non potrà essere data solo dall’involucro – cioè dal fatto di essere entrati in un edificio che è chiamato “museo del design” anziché “museo della scienza e della tecnica” ecc. – o affidata agli sforzi del visitatore.Ovvero, ancora, non sarà interessante tentare una articolata ricomposizione di saperi e fenomeni?