Memorie, oggetti, cari estinti:
nello Spazio, sotto terra, nella rete o in un museo?

Si penserà che non val nemmeno la pena di ragionar di loro, insomma «guarda e passa». Tuttavia, trovandoci a riprendere, dopo che altre cose ci han distratti – precisamente mi han distratta, ché una sono, dietro il noi –, decidiamo di farlo con un pezzo facile. Però partiamo da lontano, tanto per allargare il tratteggio.caroestinto1Nel 1938, per l’Expo di New York del 1939, la Westinghouse Electric & Manufacturing Company decise di realizzare la prima “Time Capsule”, una capsula concepita per contenere – sotto le categorie Small articles of common use, Textiles and materials, Miscellaneous items, Essay in microfilm, bobine RKO – materiali, semi, tessuti, artefatti vari, libri, riviste e microfilm pensati per essere riesumati a distanza di 5000 anni. Un tentativo di preservare in uno la storia della nostra (noi chi?) civiltà. Sepolta 50 piedi sotto terra, sotto il parco Flushing Meadows – sede dell’Expo – la prima capsula fu seguita nel 1964, sempre in occasione dell’Expo a New York, da una sorella, “Time Capsule II”, sepolta nella stessa area, a poca distanza, anch’essa ideata – con diversi contenuti secondo cinque categorie, Articles in common use, Atomic energy, Scientific developments, Space, Other – per essere aperta nel 6939. Al fine di assicurare il rinvenimento di tale preziosa memoria e, inoltre, la possibilità di comprenderla e utilizzarla, già nel 1938 fu stampato un libro – stampato in 3000 copie e inviato a biblioteche e musei (oggi reperibile anche online da www.archive.org/), con un aggiornamento nel 1965 – contenente riferimenti utili a collocare nel tempo e nello spazio le capsule (il 1939 in particolare). Non solo, pensato per essere letto anche da civiltà future, il libro contiene la propria stessa chiave di lettura, ovvero un sistema di illustrazioni che dovrebbero aiutare gli archeologi del settimo millennio a interpretare la lingua inglese. Per ogni altro dettaglio si rimanda ora alla dettagliata pagina di Wikipedia, da cui ricaviamo anche che è disponibile un filmato d’epoca, estratto da “The Middleton Family at the New York World’s Fair” parte della collezione “1939-40 New York World’s Fair”; mentre immagini dal Westinghouse Museum, che includono anche la replica della capsula, possono essere trovate qui ; infine, la lista dei contenuti inseriti nelle due capsule si trova anche qui.Trascurando le esperienze che certo molti di noi hanno fatto nella loro infanzia (chi non ha seppellito in giardino un vasetto con monetine e soldatini?), l’idea di realizzare capsule del tempo, da allora, ha avuto seguito, in vari paesi e in varie forme, dalla sepoltura di “previsioni futuristiche” – come quella del “Chicago Daily Tribune”, sigillata nel 1958 per essere aperta nel 2000 (ricaviamo la notizia da www.paleofuture.com) – alla capsula realizzata in occasione di un’altra Expo, quella di Osaka nel 1970, contenente 2098 pezzi, fino al progetto per una sorta di monumento-piramide per contenere 120.000 capsule, il Millenium project (che tuttavia, a giudicare dal sito relativo, del 1997, pare essere finito nel vuoto, e non indaghiamo oltre)… rimandiamo per qualche ulteriore ragguaglio a due articoli su www.americanheritage.com e www.repubblica.it.caroestinto2Nel 1948 Evelyn Waugh scrisse un breve romanzo dal titolo The Loved One: An Anglo-American Tragedy – in italiano Il caro estinto –, da cui nel 1965 Tony Richardson – sulla base della sceneggiatura di Terry Southern http://en.wikipedia.org/wiki/Terry_Southern (lo stesso di Dr. Strangelove / Il dottor Stranamore) e Christopher Isherwood – trasse l’omonimo, bellissimo, film. Oltre il cuore del racconto – su cui pensiamo di tornare in seguito, per il ricco calderone di spunti, fra memoria, imbellettamento, falsificazione, ricostruzione –, fra le varianti e variazioni adottate in sede cinematografica una gustosissima trovata è quella dell’invio nello spazio dei corpi dei cari estinti, ultimo traguardo dell’arte funeraria.caroestinto3Nel 1972 e nel 1973, le sonde spaziali Pioneer 10 – la prima a inviare immagini di Giove e il primo «oggetto creato dall’uomo a lasciare il sistema solare» – e Pioneer 11 – anch’essa passata per Giove, e la prima sonda a osservare Saturno, prima di uscire del pari dal sistema solare – furono dotate, fra le altre cose, di una placcarecante un «messaggio dell’umanità» verso eventuali forme di vita intelligente extraterrestri. La piastra (15,2×22,9 cm), in alluminio anodizzato dorato, recava incise – su progetto di Carl Sagan e Frank Drake – le rappresentazioni simboliche della sonda stessa, della transizione dell’idrogeno (ritenuto l’elemento maggiormente presente nell’Universo), delle figure dell’uomo e della donna, della posizione relativa del sole nella galassia e di 14 pulsar, e del sistema solare.caroestinto4In seguito, la NASA decise di realizzare un messaggio più «esteso ed eclettico», una sorta di storia/compendio del nostro pianeta, per forme di vita extraterrestre oppure terrestre, ma del futuro, da includere nel programma Voyager. Il risultato fu il Voyager Golden Record, inserito nelle sonde Voyager 1 e 2, entrambe lanciate nel 1977. Il disco, in rame placcato d’oro, conteneva – contiene – una selezione di immagini e suoni operata da un comitato presieduto da Carl Sagan (si veda anche Murmurs of Earth Clavicembalo ben temperato): 115 immagini e una varietà di suoni naturali (dal tuono agli uccellini), 90 minuti di musiche rappresentative di diverse culture (fra cui il Clavicembalo ben temperato di Bach, eseguito da Gould… niente di italiano, invece a quanto pare), saluti espressi in 55 lingue del mondo (italiano incluso) e i messaggi di Jimmy Carter e dell’allora segretario generale delle Nazioni Unite, Kurt Waldheim.caroestinto5Tra le altre iniziative più recenti e fresche di idee, abbiamo trovato segnalato un concorso di bellezza di raffinata concezione e destinato a proiettarsi nel futuro, proprio qui in Italia! Si tratta del progetto Pulchra, che come leggiamo dal sito è «un concorso che riguarda la bellezza artificiale, più precisamente quella degli oggetti. Ogni anno, per dieci anni, verranno presentati al pubblico cento oggetti, scelti, da una commissione di esperti, per la loro bellezza. Il pubblico voterà, per un intero anno, per stabilire quali siano i dieci oggetti più belli tra i cento in concorso; a fine anno i cento oggetti saranno classificati da uno a cento, in funzione del numero di voti presi da ognuno. […] I dieci oggetti vincitori del concorso, verranno rinchiusi in una capsula di acciaio e sepolti in un parco pubblico. Sopra a questo interramento si costruirà un giardino. Anno dopo anno, nel parco, in superficie, crescerà un mosaico di piccoli giardini d’autore e, sottoterra, crescerà un museo della bellezza artificiale del nostro tempo, accessibile solo agli archeologi che lo troveranno, forse, tra mille anni». Ora, senza nemmeno voler esplorare la ratio precisa della specificazione “artificiale” vicino a “bellezza”, anche il solo pensiero di voler seppellire la bellezza fa rabbrividire, quanto meno. Ma quali sono questi cento oggetti selezionati dalla commissione di esperti? Si va dalla Marathon Vintage di Adidas all’Olio Sasso, dal diamante Leo Cut allo scarpone da sci Tecnica, dalla boccetta di CKOne alle scarpe Clarks, dalla Lady Arflex al Sacco Zanotta…Qualche perplessità sull’iniziativa viene dalla ignota commissione di ignoti esperti, dei quali infatti non è dato in alcun modo conoscere i nomi (del resto il regolamento è fitto di dichiarazioni “non responsabilità” da parte degli ideatori), come pure dall’assenza di riferimenti a società, persone identificabili. È per questo, anche, che tanto vale guardare e passare avanti, almeno finché – se a qualcuno interessi – non saranno svelati i voti e i vincitori, e forse i nomi allora compariranno (ma i 10.000 euro si vincono quest’anno o allo scadere del decennio). Era solo così… tanto per scrivere qualcosa. Comunque, se qualcuno fosse allettato, non si faccia tante illusioni, il regolamento è ferreo: il voto è gratuito –pensa un po’ – ma non si può votare più di una volta al giorno.caroestinto6Mentre c’è chi vuol seppellire la memoria sotto terra, c’è anche chi si ostina a moltiplicare le iniziative virtuali. Ultimo – anche se il progetto non nasce oggi – è il MuViUS, il Museo Virtuale del Design, realizzato da Ufficio Stile. Per fortuna, come dichiarato nella presentazione, «MuViUS non ha la velleità di aggiungersi ai prestigiosi musei già esistenti – reali e virtuali – che con il contributo di qualificati curatori, critici ed esperti hanno selezionato i pezzi più rappresentativi del design internazionale». Intento è invece «costruire un percorso nell’evoluzione culturale degli spazi collettivi degli ultimi 40 anni, fatto di piccoli tasselli. Abbiamo offerto a ciascuno la possibilità di esprimere il proprio punto di vista, di proporre un pezzo “innovativo”, di scegliere un prodotto con un ruolo importante nella storia del design oppure nella propria storia di progettista o di azienda». Come si riesca a creare un percorso fatto di tasselli soggettivi è per noi arduo da comprendere. E, anche qui, chi sono poi questi esperti selezionatori? Gli autori stessi dei prodotti, di aziende che vanno da 3M Italia a Tecno, da Herman Miller a Zumtobel. Per ognuno dei prodotti scelti è possibile accedere a una “scheda” che fornisce risposta alla domanda “Perché questo prodotto è un pezzo da museo?”, indicazione del “Main concept o Commento del designer che esprima la caratteristica innovativa del prodotto” e delle “Sintetiche caratteristiche del prodotto”. Tanto per rendere l’idea, per la sedia Chorus di Mascagni, disegnata da Lucci Orlandini nel 1996, la motivazione del perché dovrebbe stare in un museo è che «nonostante 11 anni di produzione il design di questa seduta si dimostra di essere ancora più che fresco fino ad essere, a tutt’oggi uno dei prodotti più copiati sia in Italia che e all’estero»; e, lasciando a ciascuno la possibilità di leggere per proprio conto le altre motivazioni, citiamo almeno il purificatore d’aria 3M, su progetto Pininfarina, del 2006, per il quale si arriva a un vero e proprio saggio in puro stile comunicato stampa: «questo prodotto nasce dalla lunga e proficua partnership tra 3M e Pininfarina, ove l’italian style si sposa con l’esperienza e le tecnologie di 3M, una sinergia tra due compagnie che da sempre eccellono nell’innovazione. Il purificatore d’Aria Ultrapiatto Filtrete è un pezzo di design assolutamente unico, un prodotto desiderabile, oltre che sempre più richiesto nei nostri inquinatissimi centri abitati che non fa fatica ad emergere nel mercato attuale. Dopo un’attenta analisi della concorrenza l’obiettivo era progettare un oggetto unico, di facile utilizzo e veramente riconoscibile. Alla luce del risultato si può dire che i propositi siano stati ampiamente soddisfatti dai risultati: quello che è nato è un prodotto assolutamente nuovo, curato in ogni minimo dettaglio, dalla forma sensuale che fa sì che il prodotto sembri quasi respirare». Ecc. ecc. ecc.Non si fraintenda, però. Che una rivista dedicata al mondo dell’ufficio voglia fare una proposta, una selezione di pezzi da mettere online, tanto per segnare i propri interessi e gusti, ci pare più che lecito…Ma – sono i precedenti ormai che si accumulano nella nostra mente – perché tutti, ultimamente, abbian voglia di fare musei che non sono musei ci resta oscuro, e c’infastidisce pure un poco.Musei senza collezioni, musei senza sedi, collezioni senza curatori, esposizioni senza criteri e percorsi, musei e reti virtuali senza corrispondenti reali, musei e mostre di oggetti senza oggetti…Guarda e passa.