Frasi da una (non) esposizione (di oggetti)

Milano, 21 settembre 2007, presentazione del Triennale Design Museum.*Davide Rampello, presidente La Triennale:«… era necessario avere non un allestimento normalmente inteso, ma una vera e propria messa in scena, che sarà temporanea, non duratura. […] Nei musei stranieri l’allestimento è semplice, organizzato per anni, autori o tipologia. Ma ciò toglie all’oggetto l’affettività, la memoria, la contestualizzazione. […] Il museo non è solo di oggetti ma un museo installazione, fatto di immagini, contestualizzazioni […] con la tecnologia oggi disponibile abbiamo bisogno di professionisti in grado di farsene interpreti.»Michele De Lucchi, progettista del restauro architettonico:«Bisogna ringraziare Muzio, che fece tutto questo con grande preveggenza. Muzio l’ho incontrato più volte nella mia vita professionale […] certamente questo è l’edificio più efficiente che ci abbia lasciato […] è pieno di sorprese.[…] Si nasce incendiari e si muore pompieri… Io ho avuto la mia prima uscita pubblica proprio qui, davanti alla Triennale. Venni qui nel 1973 per contestare la Triennale e non avrei mai pensato che mi sarei occupato della sua ristrutturazione.»Silvana Annichiarico, direttore Design Museum:«Ci siamo mossi da una posizione precisa: un museo innovativo e diverso dai musei esistenti nel mondo.[…] Tutti i musei del mondo si basano su una collezione di proprietà. Noi non abbiamo voluto farlo. È un concetto arcaico e obsoleto, e non è nello spirito della Triennale. Ci baseremo su giacimenti già esisteni, pescando oggetti e icone. Per l’ordinamento non ci rifaremo al modello del museo d’arte figurativa; sarà un museo dinamico e mutevole […] un work in progress da mutare periodicamente […] una volontà di imbastardire la disciplina, mescolando, per sperimentare…»Andrea Branzi, curatore scientifico:«Fare il museo del design a Milano è certo più difficile che in altre capitali perché qui il design corrisponde a una forma di cultura civile, di energia evolutiva in cui si riconoscono tante vicende. […] Con Rota e Greenaway abbiamo innanzitutto voluto rimuovere la convenzione dei musei del design che fanno risalire il design a solo due secoli di storia, che vuol dire restringere la storia a eventi limitati e solo in funzione del gusto del mercato e degli oggetti domestici. […] in nessun altro paese si è investito tanto su oggetti e prodotti non solo come categoria di mercato ma anche di valori di natura spirituale e filosofica che vanno oltre gli usi e la tecnologia […]. Il design è stato a lungo schiacciato fra arte e architettura, invece per noi permette di capire molto della storia italiana non solo materiale; è importante fare capire le ossessioni, i segni ricorrenti, teoremi, che hanno un’origine molto antica. […] È una forma di museo problematica, che si rinnova di continuo, esplorando molteplici settori […]. Questo museo affronta un tema su cui pesano ancora certe ristrettezze – il design delle grandi serie, dei materiali industriali – mentre il design italiano non è mai stato questo, ha sempre saputo usare la piccola serie, o anche il pezzo unico, a volte sono stati più importanti i prototipi… […] Cercare di trasmettere al visitatore la curiosità e la disponibilità all’approfondimento piuttosto che formule preconfezionate.»Peter Greenaway, exhibition design:sottolinea due “metafore” per il Triennale Design Museum:«1. Museo come Teatro2. Esposizione/mostra di oggetti senza gli oggetti.»Inoltre ricorda che si vuole che la mostra stessa sia percepita come oggetto.Italo Rota, exhibition design:«… Legno e cinema saranno gli unici elementi del linguaggio usato.Per ora non è possibile fare vedere come sarà l’allestimento, perché sarebbe troppo difficile.»*nota: i brani riportati potrebbero essere non perfettamente puntuali, dunque sono da non considerare come precise citazioni; tuttavia si tratta di testi abbastanza fedeli a quanto detto.Si veda anche la cartella stampa de La Triennale