NanoExpo, Cité des sciences et de l’industrie
Hands-on, parole… e il parere dei visitatori (italiani)

exponano1È durata fino a ieri (2 settembre) presso la Cité des sciences et de l’industrie a Parigi, La Villette, ExpoNano. La technologie prend une nouvelle dimension. Si tratta di una esposizione che, inaugurata a Grenoble Le Casemate nel 2006, sarà itinerante fino al 2011 (evidentemente con modifiche nel tempo; i moduli attuali, per come li abbiamo veduti, presentano già alcune differenze rispetto alla prima “versione” come illustrata nel sito Exposition Nanotechnologies): «la première exposition itinérante française d’information sur les nanotechnologies. Elle a été co-produite par le CCSTI Grenoble La Casemate, la Cité des Sciences et de l’Industrie à Paris et Cap Sciences à Bordeaux. Ses objectifs sont d’informer et de mieux faire comprendre les nanotechnologies, leurs enjeux scientifiques, économiques et sociétaux et d’ouvrir le débat, de donner la parole à toutes les parties prenantes». Così, se la Gran Bretagna ha avuto nel 2005 la sua Nanotechnology: small science, big deal, al Science Museum di Londra, e si deve a un progetto tedesco lo strumento interattivo Nanoreisen, – che peraltro è reso accessibile anche dal sito di ExpoNano, segnale che non serve ricominciare campanilisticamente daccapo se qualcosa di buono è stato già fatto –, per non dire delle iniziative fuori dall’Europa, ora è il turno della Francia. Laddove spesso un evento simile è lo specchio di un dibattito in corso a livello nazionale e almeno di un interesse, misto a preoccupazione, che comincia a toccare i cittadini. Anche per questo si capisce come ExpoNano sia in lingua francese e abbia un impianto sostanzialmente didattico – d’altronde su questi nuovi mondi tutti, non solo i bambini in età scolare, abbiamo ancora da imparare.La brochure illustrativa non lascia dubbi: «ExpoNano vous donne des clés pour vous faire votre propre opinion et vous invite avant tout à un voyage vers le nanomonde». Poco spazio, pertanto, per esibizioni di bravura multimediale, nessuno per suggestioni artistiche o immaginifiche; lo sforzo è rivolto a rendere accessibile la comprensione dei fondamenti delle nanotecnologie, «un ensemble de techniques qui permettent aujourd’hui de “visualiser” et de manipuler les atomes, donc de fabriquer de nouvelles structures atomiques» (interessante, per noi, che al primo posto sia messo il “visualizzare”, perché le nanotecnologie sono proprio lo strumento che rende visibile ciò che non lo è per l’occhio umano, e la questione di come renderle a loro volta visibili per chi non possa accedere a un laboratorio – cioè più o meno tutti tranne chi ci lavora – è cruciale per chi voglia trattarne).Per capire come sia strutturata la mostra si può fare riferimento al sito web, che ne illustra il percorso, strutturato in moduli:I. Entrez dans le nanomonde …II. Manipuler les atomesIII. Ils sont déjà parmi nous!IV. L’avenir a-t-il besoin de nous?a cui corrispondono altrettanti “padiglioni” (realizzati con pedana e struttura in legno, supporto per pannelli esplicativi oppure sfondo per altri elementi, quali postazioni multimediali e installazioni hands-on): Fondaments, Techniques, Usages, Ethique. È inoltre presente una specie di torre, che serve da richiamo (gli spazi della Cité sono molto ampi e numerose le iniziative…) e quale espositore per alcuni pannelli e materiali – circuiti integrati, celle fotovoltaiche, ecc. –, oltre che per un monitor che trasmette un breve filmato in cui si raccontano la nascita e gli obiettivi di Minatec, promosso da Cea (Commissariat à l’énergie atomique), inaugurato a Grenoble nel 2006 e inteso come il futuro maggiore attore della ricerca europea in materia di micro- e nanotecnologie. Poco distante, una grande vasca con una delle “attrazioni” tipiche in materia di nanotecnologie: le piante di loto, che esemplificano gli effetti delle strutture nanometriche già presenti in natura, in questo caso la capacità autopulente. Immagini delle installazioni sono anch’esse disponibili online.exponanoQuel che ci interessa segnalare è, come abbiamo anticipato, la scarsa presenza di multimedialità esagerata. Si punta invece sulla manipolazione, sull’hands on, come pratica ancora migliore per comprendere quel che avviene a livello atomico (laddove, fra l’altro, non vale più la fisica classica, e si sperimentano comportamenti che solo “toccati con mano” possono essere intesi: si pensi per esempio al fortissimo legame fra gli atomi…); e ancora sulla esposizione, “sotto vetro”, di materiali realizzati o trattati con nanotecnologie (dalla racchetta da tennis in carbonio alle ceramiche, dai pantaloni alle calze antiodore, al packaging antibatterico…).Si punta altresì sulla disponibilità del visitatore a farsi partecipe, a entrare nel tema leggendo, cercando risposta ai grandi quesiti che si pongono; e quello della disponibilità del pubblico ci pare un tema da non trascurare, a meno di intendere musei e centri come meri parchi giochi. Infine sono presenti postazioni multimedia che, oltre a qualche software di simulazione delle operazioni su scala nanometrica (bottom up), accolgono soprattutto filmati in cui la parola è lasciata agli esperti.Poiché l’importante sono le domande, i quesiti: quelli che si pongono gli esperti, certo, ma specialmente quelli che ci poniamo ancora tutti noi di fronte a tematiche e, possibili, problematiche tutte da scoprire, come opportunità, impatto sul territorio, risvolti economici e sociali, questioni etiche, pericoli. D’altronde abbiamo sentito che al Science Museum di Londra pare abbiano già potuto – com’è loro abitudine – tirare le somme su usi e abusi (o inefficacia) di installazioni multimediali laddove la finalità principale rimane che i visitatori – per lo più giovani – escano dalla mostra (si vedano anche alcuni materiali scaricabili dal sito di Dave Patten, Head of New Media at the Science Museum).Insomma, potremmo dire di non avere veduto nulla di avveniristico… a parte il contenuto stesso della mostra, cioè le nanotecnologie naturalmente! Ed è questo che conta, specialmente quando si tratta ancora di affrontare l’analfabetismo in materia, di stimolare nelle persone una presa di posizione, o meglio almeno una riflessione minimamente consapevole su quello che è il nostro futuro, il nostro presente.E particolarmente in questa direzione va il quarto padiglione – il meno frequentato, almeno durante la nostra visita! – dedicato alle questioni etiche e alla riflessione dei visitatori: che, a quanto si evince dai guest book esposti, ha tuttavia ancora qualche difficoltà… Invero più che essere libri per gli “ospiti”, quali sono stati prevalentemente intesi, i quaderni presenti invitavano le persone a lasciare traccia del loro pensiero su tre temi: 1. riassumere in una frase le nanotecnologie; 2. quali i motivi per proseguire nello sviluppo delle nanotecnologie; 3. quale il principale pericolo delle nanotecnologie.A leggere quello che nei quaderni hanno scritto i visitatori – soprattutto quelli italiani, che preferiscono rievocare i fasti (?) calcistici degli ultimi mondiali e ricordare ai francesi che dovrebbero imparare l’italiano, anziché sforzarsi di elaborare un pensiero o, almeno, evitare di scrivere – ci sembra che il pericolo maggiore sia l’ignoranza o il disinteresse.Si veda la photogalleryEppure non è stata iniziativa del tutto inutile; fra gli altri commenti lasciati, interessante trovare (si veda immagine 19 della gallery) una contro-informazione di rilievo, fatta con riferimento al centro Minatec di Grenoble. Qualcuno ha infatti scritto: «A Minatec (Grenoble) l’opposition au projet était vehémente et la répression violente et non le contraire comme cela est affirmé dans le film “impact sur le territoires” [si tratta del filmato che all’interno dell’esposizione è dedicato appunto al centro di Grenoble, di cui viene sottolineata l’importanza per l’Europa e l’“integrazione” con il territorio]».

Cooper Hewitt feat. Ideo
Ideo feat. Cooper Hewitt

ideo_selects_cooper_hewittNel campo musicale featuring indica la partecipazione – in varia misura – di un artista a un brano eseguito principalmente da altri. In alcuni casi si tratta di una sorta di “tributo” in altri di vera e propria collaborazione. In qualche modo, di una interpretazione.Che una esposizione possa nascere da un’interpretazione a più voci non è inusuale, basta pensare alle mostre con più curatori. Al centro del loro lavoro – non la musica e le note ma – artefatti e opere, collezioni, patrimoni. Quando non si tratti di esposizioni confezionate ad hoc, però, ovvero quando si tratti di collezioni permanenti, è ancora più interessante osservare la pratica, da parte di musei e istituzioni di chiamare visiting (guest) curators a cui affidare lo studio, la lettura e il racconto. Come per i visiting professors, si tratta di un’occasione più o meno prolungata che onora chi ne è investito, e parimenti ne riconosce il valore o l’autorità. Interessante pratica perché si riallaccia ai fondamenti delle istituzioni museali, intese come luogo non solo di conservazione ma anche di produzione e diffusione culturale; e inoltre perché – certo con le dovute distinzioni – attinge al principio della pluralità di voci e della condivisione delle fonti e dei saperi.Nella nostra immaginazione simili iniziative, che nella realtà probabilmente sono anche connotate da aspetti burocratici e “politici”, ci appaiono come un invito, un’ospitalità di estreme generosità e apertura, quello cioè rivolto ad altri perché venga in casa nostra per dare una interpretazione di ciò che vi trova o magari perfino di noi stessi.Varianti di queste formule sono quelle in cui – come nella musica di cui si diceva supra – si fa appello e si “sfrutta” in qualche modo il nome dell’interprete, che sia del settore. Il museo d’arte può chiamare l’artista, così come un museo del design può chiamare un designer.Così ha fatto il Cooper Hewitt National Design Museum (Smithsonian Institution) a New York, che ha chiamato alcuni guest curators per alcune mostre temporanee. Il più recente è lo studio Ideo che ha esplorato la collezione permanente del museo realizzando una mostra incentrata sul tema design thinking – fino al 20 gennaio 2008 presso la Nancy and Edwin Marks Gallery, ma anche con possibilità di visita virtuale online. Come riportato nella home del sito dedicato, «to represent design thinking, Ideo chose objects that demonstrate innovative problem solving over the past five centuries. Ideo uses three lenses – Inspiration, Empathy, and Intuition – to explore these objects and the very human impulses that motivate designers and the contexts in which objects are created and used». È Tim Brown, presidente di Ideo, a spiegare le finalità di questa operazione, tracciando un rapido arco della propria vita da designer, delle esperienze che lo hanno condotto a comprendere ben presto – dopo la laurea a Londra negli anni ottanta – che «design is about far more than form giving. It is about understanding the needs of individuals and groups and working to create responses that really meet those needs both functionally and emotionally. It is about investing as much in the idea as in the form. It is about exploiting the essential optimism of design thinking to explore possibilities that do not occur to those who only take an analytical view. It is about responding to the challenges of the present by imagining the possibilities of the future».La mostra si ancora dunque con intento propositivo nell’attualità e nel contemporaneo: l’obiettivo è non solo mostrare come il design thinking – certo non sempre consapevole come in questa espressione – sia stato applicato o sia comunque entrato in gioco nella ideazione e realizzazione di molti prodotti, ma anche «illustrate how you might apply some of these aspects of design thinking to your own creative challenges».Come emerge chiaramente dall’allestimento – visibile dalla virtual exhibit – non pare che siano state intraprese particolari soluzioni per esplicitare il processo del design thinking. Il che è comprensibile, considerato che in questi casi il guest curator è chiamato, in qualche modo, a estrarre dei pezzi dalle collezioni (Ideo Selects è il titolo dell’esposizione), e comporli secondo la propria interpretazione. I prodotti, entro vetrine o su pedane, sono invece accompagnati da didascalie (le stesse del sito, crediamo) che traducono in testo da leggere non solo i dati “biografici” (designer, anno, produttore, nazione, materiali) ma soprattutto la posizione rispetto alle tre coordinate – i curatori parlano di lens – assunte dai curatori per illustrare il design thinking, ovveroInspiration: «how designers respond to the materials, technology, people, and social and cultural contexts of their time»;Empathy: «how designers imagine people will benefit from their ideas based on the needs at hand»;Intuition: «how designers’ intent and personal frameworks drive their vision of the outcome».Non tutti i pezzi presenti, del resto, sono rappresentativi di tutte tre queste modalità. Per esempio, a differenza di Valentine di Sottsass, il calcolatore Divisumma 18 disegnato da Bellini presenta il riferimento solo a Empathy, essendo concepito primariamente quale prodotto per un ufficio tecnologico “completamente umanizzato”. Viceversa, una poltroncina per lettura, inglese e settecentesca, viene descritta solo in termini di Inspiration, come pure avviene per la Radio portatile TS 502 di Sapper e Zanuso, magari con un po’ di semplificazione: «As colorful plastics were hitting their stride in the 1960s, designers Richard Sapper ad Marco Zanuso were expanding their use in consumer goods such as the ts502 radio. Not unlike its modernist furniture counterparts, the radio had a soft-edged, glossy aesthetic which spoke of the future, James Bond films, and casual irreverence».Comunque, con i dubbi che pure si possono avere, la visita virtuale vale la pena. Fra l’altro è possibile non solo commentare le schede dei pezzi – operazione interessante, come se ogni opera esposta avesse un guest book, in cui lasciare le proprie annotazioni (la scheda di catalogo si è ormai trasformata in post di un blog!) – ma anche, nella sezione In the World, aggiungere immagini di prodotti, oggetti da candidare per l’inserimento nello slideshow. Naturalmente precisando di quale lente si voglia dare esemplificazione: Ispirazione, Empatia o Intuizione?