L’importante è arrivare primi
Museo del design industriale di Calenzano

museo-calenzanoNon potevamo non parlarne. Il primo museo del design italiano. Milano? No, Calenzano, in provincia di Firenze. Le vicende non sono nuove, ormai risalgono al 4 maggio 2006, quando dalla collaborazione fra il corso di laurea in Disegno industriale della Facoltà di architettura di Firenze, il comune di Calenzano e la Fondazione Anna Querci è nato il Museo del design industriale. Un parto strano, a nostro parere; e già il nome di battesimo – nell’insensatezza dell’espressione anglo-italiana – desta perplessità. Ma non attardiamoci in questioni nominalistiche (anche perché, invero, ci sarebbe fin troppo da dire), guardiamo la sostanza.In sostanza, anticipiamo che sono variegate e anche contraddittorie le informazioni che si ricavano dal sito web della Fondazione; ma procediamo con ordine.«L’idea della Fondazione non è un caso [perché mai dovrebbe essere un caso?]. È venuta piano piano considerando che l’Italia, patria della creatività e del design, non aveva ancora un Museo del Design Industriale [meglio, perché all’Italia, se mai, serve un museo del disegno industriale]. Molte città, fra cui Milano, ne parlano da anni ma ancora nessuno si è fatto avanti ad aprirne le porte.»Per questo, come apprendiamo dalle dichiarazioni di Anna Querci – nel video realizzato da Florence Tv, da cui è anche possibile prendere visione dell’allestimento («curato dall’architetto Lorenzo Querci, docente presso il corso di laurea in Disegno industriale, in collaborazione con alcuni studenti dello stesso») – «siamo arrivati per primi perché le altre città ne stanno parlando da tanti anni ma per ora non hanno ancora aperto alcun museo». Insomma il primato prima di tutto, questo sembra essere il progetto principe del museo.Ma in che cosa consiste codesto museo? Quale il posseduto, quali i criteri di raccolta, archiviazione, catalogazione e, infine di esposizione?Si tratta di cento pezzi selezionati ed esibiti in occasione della mostra Italian Beauty: 100 esemplari al top. Trasformazioni nel design moderno (Firenze, 14 ottobre-2 novembre, 2005; Calenzano, 11 novembre-8 dicembre 2005). Riepiloghiamo quel che scrive Anna Querci su questi oggetti e sul progetto nel testo che può essere letto integralmente dal sito della Fondazione.Insomma viene detto che la collezione:- comprende il design italiano dal 1960 a oggi, con cento pezzi e più;- è una «libera scelta»;- è una «collezione personale e particolare».Inoltre, come organizzazione e obiettivi:- «non vuole essere solo una raccolta di pezzi belli e significativi» (eppure è una collezione personale e particolare…);- è strutturata «per decadi e/o per ideologie [?]»;- è un «excursus tipologico [?] del modo di vivere moderno»;- rappresenta «un gusto e un genere [sic] […] sempre all’avanguardia, sempre alla ricerca dell’estetica, della funzionalità e del rigore nelle linee e nelle forme»;- testimonia «l’evolversi dei materiali, dello stile, delle mode nel design»;- testimonia «la creatività e l’evoluzione di un gusto sempre attuale, al di là delle mode temporanee» (eppure vuole testimoniare mode e stili…);- sottolinea «lo sviluppo e il collegamento strutturale, formale e tecnologico dei temi fondamentali sia della progettazione che della produzione industriale italiana»;- è una panoramica «delle caratteristiche creative e tecniche che hanno reso celebre in tutto il mondo la produzione industriale italiana».A questo punto, prima di procedere, devo fare una confessione: non ho visitato personalmente il museo in questione, di cui però il servizio di Florence Tv rende bene l’idea; e del resto non escludo che lo farò. Ciò detto, se pure con alcuni limiti – forse qualcosa è mutato dall’inaugurazione –, ci pare di poter comunque fare qualche considerazione.Dunque, da quanto si legge, l’impressione che si ricava è che la libertà di cui si dice («libera scelta») stia invece per “arbitrio”. E non perché gli obiettivi indicati – testimoniare l’evoluzione di gusto e stili, gli sviluppi tecnici e tecnologici – non siano anche condivisibili, ma perché non ci pare che il museo come realizzato e allestito li rispecchi. Cento (e più) singoli oggetti, semplicemente collocati su banchi o piedistalli grigi con una targhetta-didascalia, basterebbero al pubblico fruitore per avere una lettura, interpretazione e cognizione degli sviluppi di oltre quarant’anni di società, tecnologia, moda, industria e, naturalmente, design? Ci riesce difficile crederlo, a meno che uno non abbia già da altre fonti una tale conoscenza.E ancora, potremmo (ma non vogliamo!) pure tacere del commentatore del servizio di Florence Tv che – pur sempre ispirato, certamente, dai curatori dell’evento – dichiara che il museo «rappresenta una vera e propria innovazione di modernità, anche perché va oltre la mera funzione di museo [sic!]»: trascurando anche qui il significato letterale e affidandoci allo spirito delle parole, in che cosa consiste questa innovazione museale, che poi sarebbe addirittura “oltre” le funzioni di museo? Dichiara Anna Querci che lo scopo non è «statico, nel senso di un museo fermo e fine a se stesso ma prevede una serie di attività proprio per dare l’opportunità agli studenti di approfondire i loro studi […] perché il museo dev’essere vitale, non deve essere morto». Ora, da quando in qua un museo è qualcosa di statico, fermo e fine a se stesso? D’accordo che molti musei e cosiddetti musei lo sono, ma “il museo” tale non è e non deve essere, com’è noto. Querci sottolinea inoltre, ma come se fosse una novità, che il museo deve essere vitale (forse intendeva “vivo”, in quanto contrapposto a “morto”); però molto dipende da quale tipo di vita s’intende condurre.Per completezza non possiamo tralasciare nemmeno quel che ha detto Emilio Ambasz, presente all’inaugurazione: «Questo è un museo che non solo fa custodia dei prodotti del design di valore ma essendo collegato con la scuola aiuta anche la produzione di patrimonio. Pertanto ha due funzioni quella di custodia e quella di promuovere la produzione del patrimonio. Quando ero curatore del Museo di arte moderna di New York solamente noi facevamo custodia e qui mi sembra si sia fatto un passo avanti […] come impresario o almeno come patrocinante di un’attività industriale». Che apre quanto meno qualche interrogativo su quel che accadeva a New York.E il professor Massimo Ruffilli, “presidente” del corso di laurea in Disegno industriale della Facoltà di Architettura di Firenze, ricorda che «sono pochi i musei del design anche a livello mondiale, abbiamo il MoMA di New York, abbiamo il museo di Londra, però noi qui abbiamo fatto questa iniziativa […] in concomitanza con la presenza del corso di laurea in Disegno industriale dell’ateneo fiorentino, ovvero un museo vicino al mondo della formazione dei giovani».A parte che i musei di design o con collezioni di design nel mondo sono ben di più e altri rispetto a quelli citati dal professore, che non sono nemmeno i casi più significativi, quale tipo di formazione si intende dare ai giovani esibendo oggetti, prodotti finiti come si potrebbero trovare in tanti showroom o fiere, o sicuramente in tante foto già vedute mille volte?E il nostro amico cronista del servizio tv sottolinea come gli oggetti siano presentati in un «mix che annulla completamente le distanze temporali di questo lungo lasso di tempo»; ci pare che abbia ragione, solo che non è una bella cosa come lui crede.Del resto forse l’ansia di stabilire primati fa pure dimenticare una discreta storia anche italiana, quella delle scuole d’arti applicate, industriali, sorte in varie nazioni dopo la metà dell’Ottocento, spesso in relazione con collezioni e musei di arti applicate, istituiti proprio con fini educativi, formativi e di promozione della produzione. Di questi temi, in relazione alla tematica dei musei d’impresa, si è occupata e si occupa per esempio Fiorella Bulegato, in particolare nella sua tesi di dottorato Dai musei delle arti industriali ai musei d’impresa. Un servizio alla cultura del progetto (Dip.to Itaca, Università La Sapienza, Roma, 2006).Dulcis in fundo, quasi ce ne dimenticavamo. A margine di tutte le affermazioni su come il Museo di Calenzano dovrebbe testimoniare evoluzione di tecnologia, società, industria, stile, senza cedere però alle mode e al già visto, sta il fatto che la collezione e il progetto espositivo da cui nasce si chiama Italian Beauty: 100 esemplari al top. Quindi una questione estetica. E anche il nostro amico commentatore, nel servizio tv, parla dei pezzi esposti come di «bellezze più o meno tecnologiche».Da quel che leggiamo e vediamo a proposito del Museo del design industriale, ci pare di poter concludere che: c’è un fraintendimento di base su cosa siano i musei; sembra esserci uno scollamento fra dichiarazioni velleitarie e reale consistenza e pregnanza del progetto (se c’è un progetto). Non crediamo che questo sia o possa essere ritenuto quel che dice di essere (andremo sicuramente a verificare, comunque).Avanti un altro.

Michael

michaelL’abbiamo già segnalato. Michael ovvero Multilingual Inventory of Cultural Heritage, un portale in tre lingue – inglese, francese e italiano – che consente di « trovare ed esplorare le collezioni digitali di musei, archivi, biblioteche e altre istituzioni culturali in Italia, Francia e Regno Unito».Essendo – gravemente – assente dal sito una pagina con crediti e informazioni di base, scopriamo ricercano online che di questo progetto si è per esempio parlato in un convegno organizzato dal Ministero dei beni culturali nei giorni 4 e 5 dicembre 2006, Musei, biblioteche e archivi on line: il servizio Michael (Multilingual Inventory of Cultural Heritage in Europe) e altre iniziative internazionali; alcuni interventi sono ascoltabili e scaricabili (ma con qualche problema…) dal sito web di Radio Radicale. Come racconta nell’introduzione ai lavori di Giuseppe Proietti Michael è un progetto fra i paesi della Comunità europea volto a dare sistematizzazione alla conoscenza e alla cultura, quindi al patrimonio culturale europeo (con un occhio particolare rivolto, poi, al turismo e alla fruizione della cultura).Troviamo poi una scheda relativa al progetto, che indica per l’Italia il promotore (Direzione Generale per l’Innovazione Tecnologica e la Promozione; responsabile: Rosa Caffo) e l’anno di avvio (2004), oltre a una email di riferimento e, per fortuna, un redirect al sito europeo di Michael con tutte le informazioni necessarie, scoprendo che il progetto è connesso con Minerva EC e con le sue attività riguardanti l’interoperabilità dei contenuti nel contesto della convergenza fra biblioteche, archivi e musei necessaria per la creazione della Biblioteca digitale europea – e troviamo inoltre che il progetto non si è arenato ma sta procedendo, attraverso altri convegni e seminari (anche in collaborazione con l’Osservatorio tecnologico per i beni e le attività culturali). Notiamo peraltro che dalla pagina .eu si può accedere ai siti Michael nelle tre lingue, se non che per la versione italiana anziché arrivare direttamente alla home standard del progetto internazionale si passa attraverso un altro portale probabilmente quello originale per l’Italia ma che crea non poche difficoltà, nel momento in cui anch’esso consente di ricercare fra archivi e collezioni, secondo criteri differenti rispetto al Michael ita-eng-fra. Insomma, solito pasticcio!Comunque dal sito europeo impariamo che obiettivo di Michael è che l’utente possa esplorare il patrimonio culturale materiale reso accessibile via internet; i materiali potranno includere documenti informativi, cataloghi o la descrizione delle collezioni fisiche; ma soprattutto dati digitali(zzati) come immagini, modelli 3D e descrizioni meta-data di siti archeologici, edifici, dipinti, sculture ecc.Attualmente sul sito, oltre alla pubblicazione di alcuni (ancora pochi) editoriali, è possibile fare ricerca:- fra le collezioni digitali: per tema; per area geografica; per periodo;- fra le istituzioni: per tipologia; per area geografica;- fra i servizi: per pubblico di riferimento; per tema; per area geografica; per cultura e civiltà.Si noterà che l’accesso geografico è comune a tutte le sezioni, e infatti una delle funzioni più accattivanti è la mappa che consente di selezionare continente e paese in cui cercare. Anche se va chiarito il criterio, giacché Area geografica è intesa l’area coperta dai patrimoni conservati dalle istituzioni; così, per esempio, selezionando America meridionale infatti si ottengono risultati come la Bibliothèque nationale de France o la scheda “Insects at the Manchester Museum”.Comunque si cerchino, i risultati possono essere ordinati e visualizzati secondo varie opzioni (ma per esempio i “soggetti” sono difficili da individuare essendo, in italiano, in ordine sparso anziché alfabetico), e anche scaricati in diversi formati; inoltre è possibile costruirsi proprie collezioni di preferenze.Le schede sono variamente redatte, ma possono contenere informazioni su sede e tipologie di collezioni, consistenza, aree geografiche e temi, periodi coperti ecc.

La Triennale di Milano. Museo mediatico?

triennale_miniAbbiamo voluto verificare la validità di una considerazione in cui ci siamo imbattuti nella lettura del già molto citato Tre idee di museo. Scrive infatti Giovanni Pinna, Una storia recente dei musei, ivi, p. 14 a proposito del museo mediatico «la cui finalità sovrana è quella di promuovere chi lo costruisce […] inversione dei valori che da sempre hanno sovrinteso alla nascita e all’attività dei musei […] il moderno museo mediatico prende l’avvio dalla costruzione dell’edificio, indipendentemente da quali oggetti vi verranno conservati […]».Prendiamo il caso del nascituro Museo del design della Triennale di Milano. Ormai lo abbiamo imparato a memoria dai vari comunicati o dal programma della regione: «Il museo del Design a Milano esisteva già, ma era invisibile in quanto non contenuto in un classico involucro architettonico». E d’accordo che la visibilità – come possibilità di vedere – è componente esiziale per ogni struttura museale… purché non diventi unica, come appunto nel museo che definisce “mediatico”.Se allora consultiamo l’amico G. O’Ogle, digitando “museo del design Triennale”, dai risultati scopriamo che se è vero che i canali ufficiali (rimbalzati da un portale all’altro) lascerebbero l’immagine di un museo, appunto, mediatico, tuttavia internet – e questo è uno dei suoi massimi pregi – consentendo di recuperare, attraverso le domande giuste, i materiali più diversi e non solo quelli della comunicazione ufficiale, amplia non poco il panorama, lasciando spazio alle riflessioni personali; seguiamo alcuni dei link trovati:http://www.lombardiacultura.it/accordi_di_programma.cfm?ida=176 è il già citato programma di accordo, che parla di «uno spazio di nuova concezione progettato e realizzato per valorizzare il design italiano, dando la massima visibilità a tutti i protagonisti della filiera produttiva, dai progettisti ai produttori, in un luogo caratterizzato da un’atmosfera fortemente interattiva e di grande coinvolgimento emotivo»; insomma espressioni vaghe e accattivanti, come si conviene. Ma troviamo anche detto che nel progetto rientra l’avvio della «fase di start up [perché solo questa fase non è chiaro…] della rete fisica e virtuale, che metta in comunicazione tra loro e con il Museo del Design tutti i giacimenti di beni culturali afferenti il design (archivi e musei d’impresa, giacimenti del design italiano, ecc.) presenti sul territorio regionale», e di questa parte del programma ci piacerebbe sapere di più; inoltre è aggiunto che s’intende «porre il Museo del Design al centro di un “sistema museale”, che colleghi le varie realtà presenti sul territorio regionale e italiano o in corso di realizzazione (in particolare il grande museo del design di c.a 12.000 mq che Citylife realizzerà entro il 2014 e che costituirà il naturale proseguimento e sviluppo di quello all’interno del Palazzo della Triennale»; non essendo questa pagina web aggiornata e facendo riferimento al progetto originale, ovviamente non tiene conto del fatto che il progetto per il Museo del design alla Fiera, con progetto di Libeskind, è caduto, e che anziché risparmiare l’investimento, si è deciso di realizzare allora un Museo d’arte contemporanea – scelta contro cui si mosso l’assessore Vittorio Sgarbi, ma non solo (per una aggiornata rassegna di documenti, proteste, articoli ecc. si veda il sito di Vivi e progetta un’altra Milano, in particolare le pagine dedicate alle notizie e alle iniziative contro il progetto Fiera, ovvero per la sua revisione «in modo da garantire che la trasformazione di una intera parte di città non sia determinata soltanto dall’interesse commerciale dell’imprenditore ma tenga effettivamente conto del punto di vista della popolazione», come si legge nella lettera aperta al sindaco Moratti, del settembre 2006);http://www.triennale.it/index.php?id=1&tbl=3 è la pagina del sito web della Triennale dedicata alla Collezione permanente del design italiano, dove poco o, meglio, nulla si dice su criteri museologici, archivistici, catalografici ed espositivi; vien detto che «la filosofia che anima la Collezione punta a incrementare gli oggetti disponibili attraverso la creazione di una rete che mette in connessione e valorizzi i vari “giacimenti” presenti sul territorio», infine si annota che «attualmente la Collezione è conservata negli archivi della Triennale, in attesa dell’apertura del Museo del design». Sia detto, non è che riteniamo che la presenza online e l’informazione in rete sostituiscano o valgano tout court come fonte per la realtà dell’ente; ma è questione di trasparenza e di volontà, giacché le informazioni che vengono comunicate e diffuse online o in altra forma – uffici stampa – non possono che riflettere gli intenti e gli obiettivi primari di chi sta alle spalle dei progetti, e lasciano immaginare un certo tipo di museo e di struttura, in cui quel che avviene in fase di selezione, conservazione, catalogazione, archiviazione, documentazione ecc. rimane misterioso, degno di un’indagine, se non, peggio, irrilevante;http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=7342 Maria Elena Scandaliato propone quel che ci aspetteremmo, magari in altra forma, dal sito istituzionale della Triennale, cioè una circostanziata ricognizione delle tappe che hanno condotto all’avvio del progetto – a partire dal lavoro condotto dalla curatrice della Collezione permanente Silvana Annichiarico, dal 1992 –, offrendo un panorama, uno spaccato, delle problematiche che la costituzione di un museo come quello del design comporta, non solo burocratiche, tecniche ed economiche («I cinque milioni e mezzo di euro promessi da Urbani, infatti, sono diventati prima tre e mezzo – fine 2004 – per poi asciugarsi sulla cifra di 2.911.000 euro […] “Oltre a questo problema, ci sono state mille lungaggini tecniche”») ma pure anche umane e umanissime: «A parte il nucleo di pezzi in possesso della Triennale, il patrimonio del design italiano si concentra infatti nei piccoli e numerosi musei già esistenti […] o nei musei aziendali […] sparsi sul territorio a macchia di leopardo. Gli enti proprietari di tutti questi giacimenti non sono mai stati allettati dall’idea di cedere il loro materiale alla Triennale, soprattutto laddove la fondazione milanese volesse gestire l’organizzazione del museo e degli oggetti esposti in totale autonomia, forte del proprio nome e delle proprie prerogative»; con le parole dell’assessore regionale della Lombardia alla cultura: «Quando si è detto che il patrimonio sarebbe rimasto sparso sul territorio e che si sarebbe costituita la rete con il nucleo in Triennale, allora si è davvero sbloccato tutto», insomma «un museo a rotazione» con «un nucleo permanente nella sede stessa della Triennale, e che si aprisse alla partecipazione degli altri enti sia attraverso una rete “virtuale” di collegamento, sia attraverso esposizioni tematiche a rotazione, in modo che ognuno rimanesse proprietario del proprio materiale»;http://www.artdreamguide.com/adg/_news/_2006/mudesi.htm ci informa che il «progetto è stato affidato all’architetto Michele De Lucchi, che è riuscito a ricavare una superficie di 2.000 mq. e ha ideato, in collaborazione con Renzo Piano, un ingresso davvero originale: un ponte sospeso sopra lo scalone»;http://impresa-stato.mi.camcom.it/im_32/112-122.htm l’articolo di Pierantonio Bertè, Alla Triennale le basi per un “Museo del design”, in “Impresa&Stato”, rivista della Camera di Commercio di Milano, emerge come un sogno, con un taglio che pone in luce intenti e difficoltà della effettiva strutturazione della collezione del design in vista del museo; scrive l’autore dell’articolo, che sembra ben informato sui progetti della Triennale: «“Museo del design” significa luogo dove la storia è percorribile attraverso le “cose”. Una storia visibile che diviene sostegno della memoria. Storia di situazioni sociali e culturali, storia di costume, di qualità della vita. L’ampio spazio di pertinenza del design è contenuto bene nella nota espressione “dal cucchiaio alla città”. […] Fedele specchio del difficile rapporto tra cultura, industria e società nel nostro Paese, il design ha saputo trasformarsi nel tempo in una economia di settore che costituisce una voce attiva nei capitoli del nostro bilancio economico. […] Un vero e proprio museo del design dovrà però essere una realtà complessa e attiva. Alla sua base deve stare il possesso di una collezione di pezzi che sia nello stesso tempo ricca ed essenziale […] La collezione incomincerà a essere attiva, quindi ad avviarsi sulla via del museo, quando sarà in grado di operare gli opportuni restauri e di adottare i più moderni metodi di conservazione. All’interno di essa, in continuo sviluppo, si realizzeranno in rotazione esposizioni organizzate alla luce di scelte tematiche o cronologiche, critiche o storiche. In questo modo la collezione fa cultura e fa museo»; a tal fine anche le mostre organizzate in vista del museo «rappresentano appunto le componenti base del Museo in quanto hanno imposto e impongono una ricognizione di pezzi acquisiti o da acquisire mediante la conoscenza della loro ubicazione e del rapporto instaurabile tra possessori e collezione. Un esperto, che prefigura la figura del futuro “curatore” del Museo, individua, con il conforto di un comitato scientifico, i pezzi da “salvare” e fornisce le motivazioni culturali della scelta». Ma questo articolo è del 1995!http://www.awn.it/AWN/Engine/RAServePG.php/P/47891AWN1000/M/26671AWN1006 da “Repubblica” del 25 maggio scorso, su curatori e allestimento: «Saranno l’architetto milanese Italo Rota e il regista inglese Peter Greenaway i primi due curatori del nuovo Museo del Design che aprirà a fine novembre alla Triennale. Il museo cambierà allestimento ogni paio d’anni, affidato di volta in volta a una coppia di architetti e registi-scenografi. Rota e Greenaway hanno già iniziato a lavorare al loro progetto, che troverà spazio al primo piano del palazzo, dove sono in dirittura d’arrivo i lavori diretti da Michele De Lucchi. Il museo avrà come consulente il designer Andrea Branzi e come coordinatrice Silvana Annichiarico»; ma stupisce un po’, pur ammirando i nomi, il ruolo di curatore dato a un regista, e invece quella che è indicata in Triennale come design curator ora “ridotta” a coordinatrice; quali progetti? quali obiettivi? chi scriverà la sceneggiatura?http://www.design-italia.it/italiano/dettaglio.htm?tipo=idee&idx=53 Sabrina Sciamariferisce di uno dei “Giovedì Adi”, novembre 2006, dedicato a Quale museo per il design, con gli interventi di Pietro Petraroia per la Regione Lombardia, Andrea Cancellato direttore generale della Triennale, Claudia Donà di Fondazione Adi e Francesca Appiani di Museo Alessi, che permettono – al di là, ovviamente del segnalare il ruolo di una regione come la Lombardia – di entrare un poco più a fondo nelle tematiche e nelle pratiche museali per il design; da leggere;http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=31124,1,1 nell’articolo che risale al 2004 – quindi in altro contesto politico sia regionale sia nazionale – il giornale leghista ai dati noti aggiunge una intervista all’assessore regionale Albertoni, che alla domanda “Come si è giunti ad avere il supporto del Ministero per i beni e le attività culturali?” risponde così: «Avevamo appreso con stupore dell’intenzione di realizzare un non meglio precisato “showroom” del design a Roma, presso l’Eur. La Capitale può avere certo molti meriti, ma non significa nulla per quanto riguarda la creatività e la capacità produttiva nel settore del design. Il Ministro ai Beni e Attività Culturali Giuliano Urbani ha però capito immediatamente la positività della proposta avanzata congiuntamente dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Triennale. Sostanzialmente, il Ministro Urbani ha compreso che il Museo del Design non poteva che sorgere a Milano, dove è la sua sede naturale. È soprattutto quì, al centro della Lombardia, che il design significa professionisti creativi, centri di ricerca universitari d’eccellenza e sistemi comunicativi tecnologici»; introducendo quindi un riferimento a un progetto, confuso e per certi aspetti misterioso per un museo del design a Roma. Un argomento sul quale torneremo, credo, e non per definire primati regionali, ma piuttosto per sollevare l’accento sul “made in Italy” (si parla di “Esposizione Permanente del Made in Italy e del Design Italiano”, con sede presso il Palazzo della Civiltà Italiana dell’Eur) che il progetto romano ha posto, confondendo così le acque – o dimostrando di avere le idee poco chiare – su cosa si debba in realtà intendere per “design”, disegno industriale ecc.http://www.michael-culture.org/it/editorials/design-europe approfittiamo per segnalare questa rassegna relativa alla storia delle arti applicate e decorative e del design nelle collezioni europee; su questo portale avremo modo di tornare a breve.

Classificazione dei musei Unesco (1985)
Guide to European Museum Statistic (2004)

guide_eu_museum_statisticAbbiamo accennato alla necessità che ogni ipotesi di museo – quindi anche di museo del design, o meglio delle relative museologia e museografia – non si dia come una costruzione che non tenga conto di chi il terreno lo ha già calpestato e misurato. Poiché, in relazione a ciò, riteniamo utile tenere conto delle diverse tipologie di museo, per quanto hanno potuto sperimentare e verificare in termini di teorie e (buone) pratiche, facciamo qui l’appello, richiamando la classificazione redatta dall’Unesco nel 1985 – peraltro indicata come carente in specie rispetto al panorama italiano secondo Icom Italia. Premesso che, individualisti, non siamo a favore della proliferazione individualista, soprattutto laddove si accompagni, paradossalmente, a dichiarazioni in favore di lessici e pratiche comuni, rimane vero che una classificazione come la seguente apre spiragli per molteplici riflessioni. Per esempio su dove si collocherebbe un museo del design, visto che, sì, la prima categoria parrebbe includerlo – via le arti applicate –, ma che, nei fatti, l’oggetto design (non solo l’oggetto di design) pone diverse problematiche rispetto a una tela di Tiziano? Se non che si tratterebbe prima di capire quali siano i parametri adottati dall’Unesco per distinguere e ripartire le classi, nate con finalità statistiche per agevolare la raccolta dati a livello internazionale.Nella classificazione Unesco (UNESCO/STC/Q/853), undici sono le macrocategorie cui l’organismo internazionale riconduce le tipologie museali:«a. I Musei d’arte. Sono musei che espongono opere d’arte e d’arte applicata. All’interno di questo gruppo rientrano i musei di scultura, le gallerie di pittura, i musei della fotografia e del cinema, i musei di architettura, incluse le gallerie d’arte permanenti di biblioteche e archivi.b. Musei di storia e archeologia. I musei di storia si propongono di presentare l’evoluzione storica di una regione, di un comprensorio o di una provincia per un periodo limitato o di lungo periodo. I musei di archeologia si distinguono per il fatto che le loro collezioni sono, in parte o integralmente, frutto di scavi. All’interno di questo gruppo sono compresi i musei di cimeli storici, i memoriali, i musei di archivi, militari, dedicati a personaggi storici, di archeologia, di antichità ecc.c. Musei di storia e scienze naturali. Musei che espongono soggetti legati sia a una sia a più discipline come la biologia, la geologia, la botanica, la zoologia, la paleontologia e l’ecologia.d. Musei della scienza e della tecnica. I musei compresi in questa categoria sono connessi a una o più scienze esatte o a tecnologie come l’astronomia, la matematica, la fisica, la chimica, la medicina, le industrie edili, gli articoli manifatturieri. Sono anche inclusi i planetari e i centri scientifici.e. Musei di etnografia e antropologia. Musei che presentano materiali sulla cultura, le credenze, i costumi, le arti tradizionali ecc.f. Musei specializzati. Musei interessati alla ricerca e alla presentazione di tutti gli aspetti di un singolo tema o soggetto non compreso nelle categorie da a) ad e).g. Musei territoriali. Musei che illustrano un territorio più o meno esteso tale da costituire un’entità storica culturale e talvolta anche etnica, economica o sociale, le cui collezioni si riferiscono cioè più a un territorio specifico che non a uno specifico tema o soggetto.h. Musei generali. Musei che possiedono collezioni miste e non possono esser identificati da un ambito principale.i. Altri musei. Musei non inclusi in nessuna delle altre categorie.l. Monumenti storici e aree archeologiche. Opere architettoniche o scultoree e aree di particolare interesse dal punto di vista archeologico, storico, etnologico e antropologico.m. Giardini zoologici, orti botanici, acquari e riserve naturali. Caratteristica specifica di queste entità di musei naturali è di presentare specimen viventi.»Interessante, se come s’è detto la classificazione Unesco è nata a fini statistici, dare un’occhiata a quel che si trova nella Guide to European Museum Statistic, redatta da un gruppo di lavoro internazionale e pubblicata nel 2004 (scaricabile online dal sito web dell’Institut für Museumsforschung [Istituto per la ricerca museale], con sede a Berlino), gruppo sorto in relazione alle Conferences on Museum Statistic aventi il fine di «describe the (different) ways of handling museum statistics in each country; encourage mutual inspiration by learning from others’ practice; clear the path, if possible, for a potential harmonisation – and thus: to come closer to a comparability of national statistics; to discuss related topics» (ivi, p. 7).Poiché «one of the results of the meetings was that the local conditions, the data collected in the different countries need to be explained and cannot just be put together side by side in tables» si rese necessario un lavoro di armonizzazione e chiarificazione dei dati. Fra gli esiti dei progetti così avviati la Guide mira a presentare un panorama della situazione delle statistiche museali in ciascun paese esaminato, tentando una prima mappa di comparazione. Viene precisato inoltre che: «The group is aware of the fact that here can be offered only a first presentation of results as updating takes place permanently. A new version is planned for 2007, in between updated data can soon be found on the Internet (www.egmus.net). On the Internet it also can be seen whether more countries provide information» (p. 9) Ma il sito indicato non corrisponde allo stato attuale ai contenuti promessi, e infatti anche Icom, laddove ne parla, non indica in merito al progetto un sito web; mentre altre ricerche online conducono a siti non specifici, con informazioni comunque non aggiornate, per esempio alcune pagine di un sito che apparentemente poco ha a che fare con il progetto Egmus (European Group on Museum Statistics), come http://www.digital-sepia.de.Ma veniamo a quel che volevamo segnalare. Ebbene alle pagine 66-72 della Guide si trovano i dati riguardanti l’Italia, a cura dell’Istituto beni culturali di Bologna, ovvero Istituto per i beni artistici, culturali, naturali. In relazione alle tipologie di musei e di collezioni è stata infatti utilizzata una doppia opzione di risposta, per gli enti presi in esame: «so it is possible to define also a polythematic museum, only in the second part one must indicate the predominant subject of the exhibits and collections)».I risultati per l’Italia sono riportati di seguito, e il confronto con le undici categorie Unesco è facilitato dagli autori stessi che vi fanno riferimento; nella Guide troviamo nove delle categorie Unesco, ripartite a loro volta sotto tre macroaree:«In Italian surveys and statistics, the permanent collections conserved by museums are classified by the following categories, depending on the main character of the materials and objects:a) Art, archaeology and history museums, including:1. Art museums: museums for the display of fine and applied art works. Sculpture museums, picture galleries, photography and cinema museums, architecture museums, including art exhibition galleries permanently maintained by libraries and archives centres, fall within this group (Unesco classification);2. Archaeology and history museums: the aim of history museums is to present the historical evolution of a region, country, or province, over a limited period or over the centuries. Museums of archaeology are distinguished mainly by the fact that they owe all or a part of their collections to excavations. The group includes museums with collections of historical objects or remains, commemorative museums, archives museums, military museums, museums on historical persons, archaeological museums, antiques museums, etc. (Unesco classification).b) Science and technology museums, ethnology museums, including:1. Natural history and natural science museums: museums dealing with subjects relating to one or several disciplines such as biology, geology, botany, zoology, palaeontology and ecology (Unesco classification);2. Science and technology museums: museums in this category are devoted to one or several exact sciences or technologies such as astronomy, mathematics, physics, chemistry, medical science, construction and building industries, manufactured objects, etc.; also included in this category are planetaria and science centres (Unesco classification);3. Ethnography and anthropology museums: museums displaying materials on culture, social structure, beliefs, customs, traditional arts, etc. (Unesco classification).c) Mixed museums, including:1. Specialized museums: museums concerned with research and display of all aspects of a single theme or subject not covered in one of the previous categories (Unesco classification);2. Regional museums: museums which illustrate a more or less extensive region constituting a historical and cultural entity and sometimes also an ethnic, economic or social one, i.e. whose collections refer more to a specific territory than to a specific theme or subject (Unesco classification);3. General museums: museums, which have mixed collections, not specialized collections, different types of collections and cannot be identified by a predominant field (Unesco classification);4. Other museums: museums not entering into any of the above categories (Unesco classification)».Anche qui, dove ricadremmo volendo trattare dei musei del design, se volessimo istituire una tipologia a sé?

Definizione di museo #2. Giovanni Pinna

«Se […] è innegabile che il ruolo sociale, inteso come potere di identificazione di una comunità, è la funzione base del museo, e se è vero che questa funzione è legata strettamente ai significati simbolici che gli oggetti presenti nei musei assumono a fronte della comunità, ne deriva che la presenza delle collezioni è una caratteristica fondamentale dell’istituto “museo” e che altra caratteristica fondamentale è l’azione di contestualizzazione degli oggetti, e cioè l’azione di studio scientifico e di produzione culturale del museo. Da ciò deriva quindi […] che non sono musei né le istituzioni che sono prive di collezioni di oggetti né le istituzioni che conservano oggetti o realtà incapaci di mettere in contatto il reale con l’invisibile, e cioè le istituzioni incapaci di una propria produzione culturale. […] in base a questo limite non sono musei né i planetari, né i parchi tecnologici, che non posseggono collezioni, né i parchi naturali, che conservano o tutelano realtà che non sono semiofori, poiché sono presenti nello stesso tempo e nello stesso luogo di coloro che li osservano.Il ruolo sociale del museo nell’accezione che gli ho dato permette dunque di distinguere ciò che è museo da ciò che non lo è, e di giungere quindi a una definizione di museo inteso come “l’istituzione sociale che attraverso le proprie collezioni, che essa stessa carica di significati simbolici, si propone come oggetto in cui una comunità trova una ragione di identificazione, di aggregazione e di progresso culturale”.Questa definizione del museo è molto restrittiva […] e contrasta quindi con la definizione adottata dall’International Council of Museums che amplia notevolmente i limiti del museo. […] Una visione così ampia del museo, quale è quella adottata dall’Icom, è pericolosa sotto vari punti di vista. Innanzi tutto, se tutto è museo, allora nulla è museo, e cioè il museo come istituzione non ha più alcun senso. […] oggi è evidente la tendenza a definire come musei istituzioni del tutto prive di quel potere di identificazione sociale e culturale che costituisce l’essenza stessa del museo. […] Mi riferisco naturalmente a quelle strutture didattiche quali La Villette di Parigi e l’Exploratorium di San Francisco, che si prefiggono lo scopo di divulgare la scienza attraverso esperimenti […]. Questi centri hanno certamente una magnifica funzione didattica, ma solo una funzione didattica […].Il museo inteso come struttura operativa e il suo patrimonio di oggetti sono infatti due entità strettamente interdipendenti, nel senso che l’una non può esistere senza la presenza dell’altra. […] Se si considerano quelli che sono i ruoli attivi del museo, e cioè la produzione e la diffusione culturale (in contrasto ai ruoli passivi che sono la tutela e la conservazione delle collezioni), l’interdipendenza delle due frazioni statica e dinamica del museo è evidente: da un lato infatti le collezioni in quanto tali, solo perché esistono, non hanno alcun ruolo produttivo in campo culturale; dall’altro l’organizzazione scientifica del museo non potrebbe diffondere la cultura senza la presenza delle collezioni.»Giovanni Pinna, Musei e non musei, nel già citato Adalgisa Lugli, Giovanni Pinna, Virgilio Vercelloni, Tre idee di museo, Jaca Book, Milano 2005, pp. 113-115.