Museo di macchine Enrico Bernardi
Padova

«Sono sempre più persuaso che la presenza del museo può essere d’aiuto per lo studio delle discipline attuali. Durante le lezioni si insegnano le soluzioni date ai problemi, dimenticando spesso che alle loro spalle si trovano tempo, prove, errori… trasferire la conoscenza tout court significa rischiare di banalizzarla. Al contrario, documentare, osservare da vicino, provare rende conto delle difficoltà insite nella ricerca tecnica e scientifica; è insieme strumento di studio e di riflessione sulla storia della ricerca. È anche importante per sollecitare i giovani studenti e studiosi a non arrendersi alle difficoltà, avendo chiaro l’esempio dei grandi maestri.» Così si è espresso il professor Guido Ardizzon, responsabile scientifico del Museo di macchine “Enrico Bernardi”, che si compone delle realizzazioni di un “pioniere italiano dell’automobilismo” (1841-1919), raccolte in una sala del Dipartimento di Ingegneria meccanica dell’Università di Padova.Istituito nel 1941 presso l’Istituto di macchine dell’ateneo patavino, il museo è stato trasferito nella sede attuale nel 1974, e conserva, oltre a disegni originali di Bernardi, foto d’epoca, articoli di giornali e documenti vari, diversi motori. Per esempio alcune versioni del famoso monocilindrico a benzina (1882-84), piccolo e perciò utilissimo per le necessità delle piccole aziende venete, e che Bernardi chiamò “Pia”, dal nome della figlia, peraltro ritratta in una foto mentre usa il motore applicato a una macchina per cucire; un motore per il quale Bernardi chiese nel 1882 la privativa industriale alla Prefettura industriale. Oppure il più grande “Lauro” (1887-89), che porta il nome del figlio di Bernardi, pensato per applicazioni industriali.Come spiega Giuseppe Ventrone – già responsabile del museo – nel suo articolo Il Museo di Macchine “Enrico Bernardi”, pp. 131-132, in simili motori «l’innalzamento della temperatura effettuato dalla combustione, che veniva innescata quando la miscela-combustibile-aria aspirata era inizialmente in condizioni di pressione e temperatura pressoché uguali a quelle atmosferiche, era alquanto modesto, e piccolo risultava pertanto il rendimento termico». Fu solo quando ebbe compreso l’importanza della fase di compressione della carica prima della combustione, come proposta nel ciclo a quattro tempi dal francese Beau de Rochas (1862), e quando fu scaduta un’altra privativa – quella di N.A. Otto per un motore orizzontale a gas a quattro tempi –, che Bernardi «intraprese lo studio di un motore a quattro tempi nel 1886», sviluppando diversi prototipi e modelli.bernardi_biciDel 1893 è il motore a benzina da 1/3 di CV e 187 giri al minuto che si vede montato sul triciclo a tre ruote in linea, una sorta di scooter.Dal 1894, poi, Bernardi iniziò a progettare motori più potenti, per automobili (fra l’altro non mancarono i contatti con Giovanni Agnelli…), partecipando poi alla realizzazione della famosa “vetturetta” (si veda il filmato) o vettura a tre ruote, con un motore a benzina da 1,5-5,2 cavalli e 430-800 giri al minuto. La descrive bene il già citato Ventrone: «Il motore è collocato dietro il sedile, con l’albero in direzione trasversale che comanda la ruota motrice posteriore mediante le ruote dentate del cambio e una catena articolata. La trasmissione comprende oltre al cambio di velocità a treni scorrevoli, un innesto a corda sull’albero primario azionato a mezzo di una frizione conica, e un freno a corda posto sull’albero secondario. La ruota posteriore è frenata da un freno a ceppo. La vettura, che percorse 60.000 km, poteva raggiungere una velocità di 35 km/h». E, una delle pochissime rimaste, è l’unica ancora funzionante, proprio grazie all’impegno del Dipartimento che la ospita.museo_macchineNe abbiamo potuto avere prova, nei laboratori del piano terra del Dipartimento, che infatti si giova per l’insegnamento non solo del Museo ma di ampi spazi per ricerca e sperimentazione, oltre che di una collezione di macchine più “recenti”, pezzi di motore, componenti e dispositivi vari che vengono utilizzati a supporto dell’attività didattica e a scopo dimostrativo. Questa raccolta si trova in uno spazio realizzato ad hoc, un involucro trasparente che può essere ammirato dalle aule circostanti e dai piani superiori: un modo interessante per tenere in relazione teoria e applicazione.Ma, ci confessava il professor Ardizzon, sarebbe suo intento integrare anche il Museo di macchine Bernardi all’interno dell’insegnamento; certo non per i corsi specialistici, ma per i corsi di base e propedeutici, quelli in cui delle discipline è importante apprendere altresì la storia, quindi rivitalizzando il museo stesso e rendendolo fonte viva degli studi che nell’ateneo si conducono. Questo progetto dovrebbe avere avvio con l’anno accademico 2007/08.Museo di macchine Enrico BernardiUniversità degli studi di PadovaDipartimento di Ingegneria Meccanicaviale Venezia 135131 Padovawww.musei.unipd.it/macchine/index.html