La Triennale di Milano. Museo mediatico?

triennale_miniAbbiamo voluto verificare la validità di una considerazione in cui ci siamo imbattuti nella lettura del già molto citato Tre idee di museo. Scrive infatti Giovanni Pinna, Una storia recente dei musei, ivi, p. 14 a proposito del museo mediatico «la cui finalità sovrana è quella di promuovere chi lo costruisce […] inversione dei valori che da sempre hanno sovrinteso alla nascita e all’attività dei musei […] il moderno museo mediatico prende l’avvio dalla costruzione dell’edificio, indipendentemente da quali oggetti vi verranno conservati […]».Prendiamo il caso del nascituro Museo del design della Triennale di Milano. Ormai lo abbiamo imparato a memoria dai vari comunicati o dal programma della regione: «Il museo del Design a Milano esisteva già, ma era invisibile in quanto non contenuto in un classico involucro architettonico». E d’accordo che la visibilità – come possibilità di vedere – è componente esiziale per ogni struttura museale… purché non diventi unica, come appunto nel museo che definisce “mediatico”.Se allora consultiamo l’amico G. O’Ogle, digitando “museo del design Triennale”, dai risultati scopriamo che se è vero che i canali ufficiali (rimbalzati da un portale all’altro) lascerebbero l’immagine di un museo, appunto, mediatico, tuttavia internet – e questo è uno dei suoi massimi pregi – consentendo di recuperare, attraverso le domande giuste, i materiali più diversi e non solo quelli della comunicazione ufficiale, amplia non poco il panorama, lasciando spazio alle riflessioni personali; seguiamo alcuni dei link trovati:http://www.lombardiacultura.it/accordi_di_programma.cfm?ida=176 è il già citato programma di accordo, che parla di «uno spazio di nuova concezione progettato e realizzato per valorizzare il design italiano, dando la massima visibilità a tutti i protagonisti della filiera produttiva, dai progettisti ai produttori, in un luogo caratterizzato da un’atmosfera fortemente interattiva e di grande coinvolgimento emotivo»; insomma espressioni vaghe e accattivanti, come si conviene. Ma troviamo anche detto che nel progetto rientra l’avvio della «fase di start up [perché solo questa fase non è chiaro…] della rete fisica e virtuale, che metta in comunicazione tra loro e con il Museo del Design tutti i giacimenti di beni culturali afferenti il design (archivi e musei d’impresa, giacimenti del design italiano, ecc.) presenti sul territorio regionale», e di questa parte del programma ci piacerebbe sapere di più; inoltre è aggiunto che s’intende «porre il Museo del Design al centro di un “sistema museale”, che colleghi le varie realtà presenti sul territorio regionale e italiano o in corso di realizzazione (in particolare il grande museo del design di c.a 12.000 mq che Citylife realizzerà entro il 2014 e che costituirà il naturale proseguimento e sviluppo di quello all’interno del Palazzo della Triennale»; non essendo questa pagina web aggiornata e facendo riferimento al progetto originale, ovviamente non tiene conto del fatto che il progetto per il Museo del design alla Fiera, con progetto di Libeskind, è caduto, e che anziché risparmiare l’investimento, si è deciso di realizzare allora un Museo d’arte contemporanea – scelta contro cui si mosso l’assessore Vittorio Sgarbi, ma non solo (per una aggiornata rassegna di documenti, proteste, articoli ecc. si veda il sito di Vivi e progetta un’altra Milano, in particolare le pagine dedicate alle notizie e alle iniziative contro il progetto Fiera, ovvero per la sua revisione «in modo da garantire che la trasformazione di una intera parte di città non sia determinata soltanto dall’interesse commerciale dell’imprenditore ma tenga effettivamente conto del punto di vista della popolazione», come si legge nella lettera aperta al sindaco Moratti, del settembre 2006);http://www.triennale.it/index.php?id=1&tbl=3 è la pagina del sito web della Triennale dedicata alla Collezione permanente del design italiano, dove poco o, meglio, nulla si dice su criteri museologici, archivistici, catalografici ed espositivi; vien detto che «la filosofia che anima la Collezione punta a incrementare gli oggetti disponibili attraverso la creazione di una rete che mette in connessione e valorizzi i vari “giacimenti” presenti sul territorio», infine si annota che «attualmente la Collezione è conservata negli archivi della Triennale, in attesa dell’apertura del Museo del design». Sia detto, non è che riteniamo che la presenza online e l’informazione in rete sostituiscano o valgano tout court come fonte per la realtà dell’ente; ma è questione di trasparenza e di volontà, giacché le informazioni che vengono comunicate e diffuse online o in altra forma – uffici stampa – non possono che riflettere gli intenti e gli obiettivi primari di chi sta alle spalle dei progetti, e lasciano immaginare un certo tipo di museo e di struttura, in cui quel che avviene in fase di selezione, conservazione, catalogazione, archiviazione, documentazione ecc. rimane misterioso, degno di un’indagine, se non, peggio, irrilevante;http://www2.unicatt.it/pls/unicatt/mag_gestion_cattnews.vedi_notizia?id_cattnewsT=7342 Maria Elena Scandaliato propone quel che ci aspetteremmo, magari in altra forma, dal sito istituzionale della Triennale, cioè una circostanziata ricognizione delle tappe che hanno condotto all’avvio del progetto – a partire dal lavoro condotto dalla curatrice della Collezione permanente Silvana Annichiarico, dal 1992 –, offrendo un panorama, uno spaccato, delle problematiche che la costituzione di un museo come quello del design comporta, non solo burocratiche, tecniche ed economiche («I cinque milioni e mezzo di euro promessi da Urbani, infatti, sono diventati prima tre e mezzo – fine 2004 – per poi asciugarsi sulla cifra di 2.911.000 euro […] “Oltre a questo problema, ci sono state mille lungaggini tecniche”») ma pure anche umane e umanissime: «A parte il nucleo di pezzi in possesso della Triennale, il patrimonio del design italiano si concentra infatti nei piccoli e numerosi musei già esistenti […] o nei musei aziendali […] sparsi sul territorio a macchia di leopardo. Gli enti proprietari di tutti questi giacimenti non sono mai stati allettati dall’idea di cedere il loro materiale alla Triennale, soprattutto laddove la fondazione milanese volesse gestire l’organizzazione del museo e degli oggetti esposti in totale autonomia, forte del proprio nome e delle proprie prerogative»; con le parole dell’assessore regionale della Lombardia alla cultura: «Quando si è detto che il patrimonio sarebbe rimasto sparso sul territorio e che si sarebbe costituita la rete con il nucleo in Triennale, allora si è davvero sbloccato tutto», insomma «un museo a rotazione» con «un nucleo permanente nella sede stessa della Triennale, e che si aprisse alla partecipazione degli altri enti sia attraverso una rete “virtuale” di collegamento, sia attraverso esposizioni tematiche a rotazione, in modo che ognuno rimanesse proprietario del proprio materiale»;http://www.artdreamguide.com/adg/_news/_2006/mudesi.htm ci informa che il «progetto è stato affidato all’architetto Michele De Lucchi, che è riuscito a ricavare una superficie di 2.000 mq. e ha ideato, in collaborazione con Renzo Piano, un ingresso davvero originale: un ponte sospeso sopra lo scalone»;http://impresa-stato.mi.camcom.it/im_32/112-122.htm l’articolo di Pierantonio Bertè, Alla Triennale le basi per un “Museo del design”, in “Impresa&Stato”, rivista della Camera di Commercio di Milano, emerge come un sogno, con un taglio che pone in luce intenti e difficoltà della effettiva strutturazione della collezione del design in vista del museo; scrive l’autore dell’articolo, che sembra ben informato sui progetti della Triennale: «“Museo del design” significa luogo dove la storia è percorribile attraverso le “cose”. Una storia visibile che diviene sostegno della memoria. Storia di situazioni sociali e culturali, storia di costume, di qualità della vita. L’ampio spazio di pertinenza del design è contenuto bene nella nota espressione “dal cucchiaio alla città”. […] Fedele specchio del difficile rapporto tra cultura, industria e società nel nostro Paese, il design ha saputo trasformarsi nel tempo in una economia di settore che costituisce una voce attiva nei capitoli del nostro bilancio economico. […] Un vero e proprio museo del design dovrà però essere una realtà complessa e attiva. Alla sua base deve stare il possesso di una collezione di pezzi che sia nello stesso tempo ricca ed essenziale […] La collezione incomincerà a essere attiva, quindi ad avviarsi sulla via del museo, quando sarà in grado di operare gli opportuni restauri e di adottare i più moderni metodi di conservazione. All’interno di essa, in continuo sviluppo, si realizzeranno in rotazione esposizioni organizzate alla luce di scelte tematiche o cronologiche, critiche o storiche. In questo modo la collezione fa cultura e fa museo»; a tal fine anche le mostre organizzate in vista del museo «rappresentano appunto le componenti base del Museo in quanto hanno imposto e impongono una ricognizione di pezzi acquisiti o da acquisire mediante la conoscenza della loro ubicazione e del rapporto instaurabile tra possessori e collezione. Un esperto, che prefigura la figura del futuro “curatore” del Museo, individua, con il conforto di un comitato scientifico, i pezzi da “salvare” e fornisce le motivazioni culturali della scelta». Ma questo articolo è del 1995!http://www.awn.it/AWN/Engine/RAServePG.php/P/47891AWN1000/M/26671AWN1006 da “Repubblica” del 25 maggio scorso, su curatori e allestimento: «Saranno l’architetto milanese Italo Rota e il regista inglese Peter Greenaway i primi due curatori del nuovo Museo del Design che aprirà a fine novembre alla Triennale. Il museo cambierà allestimento ogni paio d’anni, affidato di volta in volta a una coppia di architetti e registi-scenografi. Rota e Greenaway hanno già iniziato a lavorare al loro progetto, che troverà spazio al primo piano del palazzo, dove sono in dirittura d’arrivo i lavori diretti da Michele De Lucchi. Il museo avrà come consulente il designer Andrea Branzi e come coordinatrice Silvana Annichiarico»; ma stupisce un po’, pur ammirando i nomi, il ruolo di curatore dato a un regista, e invece quella che è indicata in Triennale come design curator ora “ridotta” a coordinatrice; quali progetti? quali obiettivi? chi scriverà la sceneggiatura?http://www.design-italia.it/italiano/dettaglio.htm?tipo=idee&idx=53 Sabrina Sciamariferisce di uno dei “Giovedì Adi”, novembre 2006, dedicato a Quale museo per il design, con gli interventi di Pietro Petraroia per la Regione Lombardia, Andrea Cancellato direttore generale della Triennale, Claudia Donà di Fondazione Adi e Francesca Appiani di Museo Alessi, che permettono – al di là, ovviamente del segnalare il ruolo di una regione come la Lombardia – di entrare un poco più a fondo nelle tematiche e nelle pratiche museali per il design; da leggere;http://www.lapadania.com/PadaniaOnLine/Articolo.aspx?pDesc=31124,1,1 nell’articolo che risale al 2004 – quindi in altro contesto politico sia regionale sia nazionale – il giornale leghista ai dati noti aggiunge una intervista all’assessore regionale Albertoni, che alla domanda “Come si è giunti ad avere il supporto del Ministero per i beni e le attività culturali?” risponde così: «Avevamo appreso con stupore dell’intenzione di realizzare un non meglio precisato “showroom” del design a Roma, presso l’Eur. La Capitale può avere certo molti meriti, ma non significa nulla per quanto riguarda la creatività e la capacità produttiva nel settore del design. Il Ministro ai Beni e Attività Culturali Giuliano Urbani ha però capito immediatamente la positività della proposta avanzata congiuntamente dalla Regione Lombardia e dalla Fondazione Triennale. Sostanzialmente, il Ministro Urbani ha compreso che il Museo del Design non poteva che sorgere a Milano, dove è la sua sede naturale. È soprattutto quì, al centro della Lombardia, che il design significa professionisti creativi, centri di ricerca universitari d’eccellenza e sistemi comunicativi tecnologici»; introducendo quindi un riferimento a un progetto, confuso e per certi aspetti misterioso per un museo del design a Roma. Un argomento sul quale torneremo, credo, e non per definire primati regionali, ma piuttosto per sollevare l’accento sul “made in Italy” (si parla di “Esposizione Permanente del Made in Italy e del Design Italiano”, con sede presso il Palazzo della Civiltà Italiana dell’Eur) che il progetto romano ha posto, confondendo così le acque – o dimostrando di avere le idee poco chiare – su cosa si debba in realtà intendere per “design”, disegno industriale ecc.http://www.michael-culture.org/it/editorials/design-europe approfittiamo per segnalare questa rassegna relativa alla storia delle arti applicate e decorative e del design nelle collezioni europee; su questo portale avremo modo di tornare a breve.

Polirematica, dromia e amore.
Questioni statistiche

demauro_lemmiSegnaliamo una curiosità, ovvero un potenziale passatempo.Il Dizionario della lingua italiana De Mauro online offre infatti fra le sue opzioni la visualizzazione dei 200 (210 in realtà) lemmi più consultati dagli utenti.Ora, trascurando che la prima parola dell’elenco è gatto – infatti si tratta del lemma che compare di default nella finestra search – può essere interessante percorrere le liste, divise in sette pagine. E si trascuri anche polirematica (posizione 40 [naturalmente le posizioni indicate si riferiscono alla data odierna, e sarà perciò interessante fare un confronto in futuro]), giacché anche questa è dovuta alle funzioni interne del Dizionario online, che sotto alcuni lemmi segnala le voci Polirematiche, appunto, cioè gruppi di parole che hanno «un significato unitario, non desumibile da quello delle parole che lo compongono, sia nell’uso corrente sia in linguaggi tecnico–specialistici, come in italiano vedere rosso “adirarsi” o scala mobile “crescita dei salari al crescere dell’inflazione”, ecc.». Interessanti anche le occorrenze di parole simili tra loro come obbiettivo e obiettivo (6 e 12), famigliare e familiare (78 e 80). Per gli stessi motivi si annulla la curiosità destata dalla presenza, in posizione 122, di TS: la ricerca di una tale sigla infatti, pensandoci un poco, non pare da attribuire a uno specifico interesse per le targhe o per la città di Trieste, bensì a una delle marche d’uso più frequenti che compaiono nella struttura delle voci del Dizionario, appunto TS, che, come si evince dalle istruzioni del De Mauro stesso, si riferisce ai termini “tecnico-scientifici”. Con un errore evidente in una delle funzioni del sito: qualora all’interno di una voce appunto tecnico- scientifica si punti il mouse su TS (in rosa, prima della definizione), si viene rimandati a Trieste anziché alle istruzioni sulle marche d’uso.Fra i primi trenta posti rientrano, comprensibilmente, alcuni termini di riferimento, diciamo così, anatomico, segnale forse di una scarsa informazione diffusa in materia oppure di una qualche curiosità da studente, ma anche altri che probabilmente han attratto il ricercatore per via di confusione – o forse no? – come ficologo, che significa “algologo”, ovvero studioso delle alghe. A pruderie comparabili ricondurremo anche pederasta (54), onanismo (99), zoccola (119) ecc. Del resto quanto alle donne il sentimento non pare proprio benevolo, trovandosi sia il misogino (11) sia la misoginia (181). Ma non manca neppure la misantropia (189).Numerosi i lemmi riferiti a questioni di linguaggio, come vocabolario (2), dizionario (31, ovvero la prima posizione della pagina 2), lemma (48), abc (90), come pure quelli relativi a discipline come epistemologia (25), ermeneutica (51), semantica (64), ontologia (77) e via dicendo.Vizi, cattive abitudini e maleducazione sono ben rappresentati dalle posizioni 74 (ignavia), 79 (accidia), 120 (ipocrisia), 86 e 87 (paraculo e mascalzone)… Fra gli atteggiamenti filosofici e spirituali pare prevalgano l’edonismo (118 e 152), il cinismo (133: cinico) e il nichilismo (154): forse c’è un senso in tutto ciò? Su Dio invece, qualora non si rifiuti la propria fede (115: apostasia), non si prende posizione (127: agnosticismo). Le vicende della cronaca e della politica italiane devono aver stimolato la ricerca di aggiotaggio (4), indulto (107)… e magari anche la posizione 42 (demagogia), e per converso la 47, cioè coscienza. Comunque si può sempre usare un poco d’ironia (94).Scorrendo le liste, dev’essere confessato, sono diversi i termini di cui ignoravo il significato, se non l’esistenza: per esempio dromia (32; s.f. TS zool., granchio del genere Dromia), faldistorio (38; s.m. TS eccl., seggio senza spalliera che in talune funzioni viene posto a sinistra dell’altare al posto della cattedra per farvi sedere la più alta autorità ecclesiastica assistente al rito | TS stor., analogo seggio per re o principi in uso nelle corti), appertizzato (50; da appertizzare: s.f. TS alim., procedimento per la conservazione dei cibi consistente nello sterilizzarli dopo averli chiusi in recipienti ermetici) e così via.L’amore, che si dice debba sempre vincere, è alla posizione 75: del resto com’è possibile pensare di definirlo? A chi può venire in mente di cercarlo in un dizionario? Fra l’altro constatando che la pagina con il risultato della ricerca visualizza nella spalla destra la pubblicità di un sito web la cui funzione è farci incontrare la nostra anima gemella…Un’ultima nota, il Dizionario fornisce non solo la statistica dei lemmi più cercati, ma anche dei 210 lemmi non trovati, fra cui, oltre a bizzarrie come “Annina ti voglio tanto tanto bene!” in prima posizione – forse dovuto a qualcuno che dopo aver cercato la parola “amore” ha pensato bene che un gesto concreto/virtuale avrebbe meglio giovato alla sua relazione –, o “Luis Silvio” (30), si trovano casi per i quali si è in dubbio se siano dovuti a reale ignoranza. Infatti fino a dove resta possibile attribuire a eccessiva fretta nella digitazione: fisognomico, conoscienza, sufficente, coscenza, profiquo ecc.?Anche qui, ad avere un po’ di tempo, c’è materia a sufficienza per intrattenersi un poco, per riflettere, per interpretare. D’altronde a cosa servono le statistiche?