Tre idee di museo

tre_idee_museoAdalgisa Lugli, Giovanni Pinna, Virgilio Vercelloni,Tre idee di museo, a cura di Giovanni Pinna,Jaca Book, Milano 2005 (Di fronte e attraverso, 691)Avendolo citato, e ritenendolo una istruttiva guida verso il mondo dei musei – che non sono solo i musei d’arte –, ecco alcune brevissime note su questo volume che raccoglie articoli e saggi già editi dei tre autori, e sul quale, ne sono certa, avremo modo e necessità di ritornare.Attraverso le tre sezioni,Museologia, di Adalgisa LugliFondamenti teorici per un museo di storia naturale, di Giovanni PinnaMuseo e comunicazione culturale, di Virgilio Vercelloni,ciascuna seguita dai riferimenti bibliografici, emergono chiari non solo le dichiarate differenti prospettive degli autori ma, in tutti, l’equilibrio complessivamente costante fra considerazioni tratte dalla pratica museale, analisi storica e confronto internazionale, critica circostanziata, corretta valutazione di fasi e “mode”.Al fondo delle «tre idee» vi è una concezione comune del museo o, meglio, dei musei come «luoghi della memoria e di creazione di identità che operano collezionando, custodendo, interpretando ed esponendo il patrimonio culturale delle comunità», ovvero non un passivo contenitore di oggetti ma «l’istituzione che più di ogni altra concorre alla creazione dell’eredità culturale delle società e delle nazioni». Così scrive nella introduzione alla collana Giovanni Pinna, che prosegue sottolineando come ogni museo debba essere considerato «unico e irripetibile, diverso da ogni altro museo», come insegna la storia e come – a maggior ragione – dovrebbe essere negli obiettivi per il presente e il futuro.Così pare debba essere anche nei nostri.

Ico…what?

icowIl 18 maggio 2007 l’Icom (International Council of Museums) ha promosso la Giornata internazionale dei musei.Organizzazione internazionale non governativa e associata all’Unesco (e inoltre, “organismo consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite”), Icom riunisce – con oltre 20.000 aderenti in tutto il mondo – musei e professionisti museali. Fondata nel 1946 dall’allora presidente dell’American Association of Museums, al fine di diffondere lo scambio e la reciproca conoscenza delle culture, Icom si impegna per preservare, assicurare la continuità e comunicare il valore “del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale”.Com’è noto la definizione di museo data da Icom è piuttosto comprensiva, con qualche vaghezza; l’articolo 2 dello statuto recita infatti al primo comma che “museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente: le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto”, fornendo quindi una definizione funzionale e operativa dell’ente, non essendo peraltro ben chiaro se studio, educazione e diletto debbano coesistere e consistere, oppure possano darsi alternativamente. Il comma secondo è una dichiarazione d’indipendenza, precisando che la suddetta definizione “deve potersi applicare senza alcuna limitazione dipendente dalla natura dell’amministrazione responsabile, dagli ordinamenti locali, dal sistema di funzionamento o dall’indirizzo delle collezioni dell’istituzione interessata”.Il comma tre, come un’arca, spalanca il suo ventre in forma quanto meno contraddittoria, come dire “qui lo dico e qui lo nego”. Recita il comma: “In addition to institutions designated as ‘museums’ the following qualify as museums for the purposes of this definition […]”, in italiano: “Oltre ai ‘musei’ definiti tali, rientrano in questa stessa definizione”, e qui segue una lista presso che interminabile: I) i siti e i monumenti naturali, archeologici ed etnografici, nonché i siti e i monumenti storici aventi la stessa natura dei musei in quanto acquisiscono, conservano e comunicano le testimonianze materiali dell’umanità e del suo ambiente” – la casa dei nonni? –, “II) le istituzioni che conservano collezioni e presentano esemplari viventi di vegetali o animali, quali gli orti botanici e i giardini zoologici, gli acquari e i vivaria; III) i centri scientifici e i planetari; IV) le gallerie d’arte senza scopo di lucro; gli istituti destinati alla conservazione e le gallerie destinate all’esposizione, dipendenti da biblioteche e da centri archivistici; V) i parchi naturali; VI) le organizzazioni museali nazionali, regionali o locali; le pubbliche amministrazioni responsabili di musei come sopra definiti” – e qui il giro acrobatico raddoppia: il museo è definito come X, però, oltre X, fa parte di X anche Y, e di Y fa parte anche un insieme composto di X… –, “VII) le istituzioni o le organizzazioni senza scopo di lucro che svolgono attività di ricerca in materia di conservazione, nonché attività di educazione, formazione, documentazione o altro, collegate ai musei e alla museologia;VIII) i centri culturali o altre istituzioni che hanno il fine di contribuire alla salvaguardia, alla permanenza e alla gestione di beni patrimoniali tangibili e intangibili (patrimonio vivo e attività creativa digitale);IX) ogni altra istituzione che il Consiglio esecutivo, su parere del Comitato consultivo, giudichi possedere talune o tutte le caratteristiche di un museo” – e qui finalmente si svela l’arcano su come funziona il meccanismo: basta che il Comitato decida di volta in volta, al bisogno –, “o che offra a musei e a professionisti museali gli strumenti per condurre ricerche negli ambiti della museologia, dell’educazione o della formazione” – ma, vien da chiedere, una istituzione che fornisce a un museo un servizio o gli strumenti, perché dovrebbe diventare o essere considerata per ciò museo?Trascuriamo in questa sede – magari ripromettendoci di riprendere l’argomento – quel che poi viene detto sui “professionisti museali” (dove per lo meno un barlume di presa di posizione c’è, essendo infatti escluso da questa categoria “chiunque promuova o commerci prodotti e forniture necessari ai musei e ai loro servizi”), e torniamo alla Giornata internazionale dei musei 2007, quest’anno dedicata al tema “Musei e patrimonio universale”, per “promuovere l’accesso alle collezioni dei musei al fine di mostrare a che punto la diversità culturale e il patrimonio universale sono inscindibili”.Si ribadisce poi, anche in vista della Conferenza generale del prossimo agosto a Vienna, che Icom “sostiene le Convenzioni dell’Unesco e conduce dal 2004 un lavoro impegnativo e di lunga durata presso i musei al fine di promuovere il ‘Patrimonio immateriale’”. Che sia questo il motivo di tante poco chiare definizioni? Per fortuna, ancora, il materiale lo vedo, lo tocco, o quanto meno posso predicare cosa sia, l’immateriale fugge, o meglio, e appunto, se preso per sé e svincolato dal materiale è ovunque, ovunque si voglia, si decida.E per tornare a quanto sopra: perché tutto deve diventare museo? Se Icom – International Council of Museums – non vuol occuparsi dei musei in senso “stretto” (comma 1) non potrebbe semplicemente mutare denominazione? (Forse Icow: International Council of Whateverwewant.) Perché per nulla perdere non si distingue più fra bene, patrimonio e istituzione, facendo diventare patrimonio l’istituzione stessa, esponendola all’insignificanza e alla stasi?Del resto Giovanni Pinna ha già da tempo scritto che “una visione così ampia del museo, quale è quella adottata dall’Icom, è pericolosa sotto vari punti di vista. Innanzi tutto, se tutto è museo, allora nulla è museo […]” (Musei e non musei, in Adalgisa Lugli, Giovanni Pinna, Virgilio Vercelloni, Tre idee di Museo, a cura di Giovanni Pinna, Jaca Book, Milano 2004, p. 114). E se è vero, come Pinna scrive nella introduzione ai suoi saggi nello stesso volume (ivi, p, 89), riprendendo Eilean Hooper Greenhill, che a dibattere e a scrivere di musei sono sovente “persone dai più diversi interessi culturali, che non hanno mai avuto un’esperienza diretta nella creazione, nella conduzione o nell’organizzazione di un museo”,(i) allora usiamo le parole stesse dell’autore laddove dice che “non sono musei né le istituzioni che sono prive di collezioni di oggetti né le istituzioni che conservano oggetti o realtà incapaci di mettere in contatto il reale con l’invisibile, e cioè le istituzioni incapaci di una propria produzione culturale” (ivi, p. 113), quindi né i planetari, né i parchi tecnologici “che non posseggono collezioni”, né i parchi naturali. D’altronde Pinna è capace di dare una definizione di museo e di assumerla: “istituzione sociale che, attraverso le proprie collezioni, che essa carica di significati simbolici, si propone come oggetto in cui una comunità trova una ragione di identificazione, di aggregazione sociale e di progresso culturale”.(i) Una nota: in merito all’intervento sui temi del museo da parte di numerosi critici non direttamente operatori museali, il riferimento di Pinna è a Eilean Hooper Greenhill, I musei e la formazione del sapere, edito in Italia solo nel 2005, il Saggiatore, Milano, p. 12; ma il senso suggerito dall’autrice ha una sfumatura lievemente diversa da quel che lascia intendere Pinna. Laddove quest’ultimo aggiunge che “proprio perché non alimentato dall’apporto diretto dei museologi, in questi ultimi quarant’anni il dibattito sui musei è stato caratterizzato da una sostanziale diffidenza nei confronti di queste istituzioni”, causando un approccio negativo al museo, “caratteristico di molti uomini di cultura che non operano, o che non hanno mai operato all’interno di queste istituzioni”, Cooper Greenhill, professore di Museum Studies all’University of Leicester, scrive che “ancora oggi la riflessione critica è tutt’altro che ben accetta presso certi conservatori e curatori, i quali si considerano professionisti che non hanno tempo da perdere con simili attività improduttive”. Insomma, non è tanto un problema di critici alieni all’operatività museale, è piuttosto problema di operatori alieni alla critica (nel senso ampio del termine).